Esattamente trent’anni fa, il 30 novembre del 1993, debuttò nelle sale cinematografiche di Washington D.C. uno dei più belli, strazianti e annoverati film della storia del cinema globale: Schindler’s List (trailer). Quest’opera drammatica e storica diretta da Steven Spielberg prese ispirazione dall’omonimo romanzo dello scrittore australiano Thomas Keneally, famoso per aver ripercorso passo dopo passo le gesta pericolose, eroiche e realmente accadute di un uomo straordinario: l’imprenditore ceco Oskar Schindler. Il libro, pubblicato nel 1982 e premiato lo stesso anno con il Booker Prize, non era altro che la raccolta delle testimonianze di cinquanta sopravvissuti, “redivivi” grazie all’operato di Schindler. Oltre a innumerevoli documenti e informazioni forniti rispettivamente dai compagni dell’imprenditore nel periodo bellico e dai suoi amici. Un grande contributo arrivò anche dallo Yad Vashem, ovvero l’Ente Nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme. Ma chi era esattamente Oskar Schindler? Facciamo un po’ di dietrologia.
Oskar Schindler nacque a Svitavy, in Repubblica Ceca, il 28 aprile del 1908, dai genitori Johann Schindler (imprenditore agricolo) e Franziska Luser. Primogenito della famiglia, con la sorellina Elfriede, Oskar era amico in gioventù di una famiglia ebrea loro vicina di casa. Dopo un periodo di scuola travagliato, tra espulsioni e corsi di avviamento professionale, il giovane Schindler riuscì a completare il percorso di studi e a intraprendere, nell’età adulta, varie professioni. Sposò, nel 1928, la sua ragazza Emilie, da cui però non ebbe né figli né un matrimonio felice.
Dopo essersi arruolato nelle forze armate cecoslovacche nel 1935, il ventisettenne Oskar Schindler si avvicinò alla politica, unendosi al partito dei tedeschi dei Sudeti per contrastare la scarsità delle risorse economiche. Venne poi reclutato dalla Abwehr (servizio di intelligence militare tedesca) quale informatore per lo spionaggio industriale cecoslovacco. A causa di ciò fu arrestato dal suo governo il 18 luglio 1938, ma, pochi mesi dopo, venne rilasciato dalla Germania nazista. Questa aveva acquisito la Cecoslovacchia con il Patto di Monaco. Diventò ufficialmente, nel 1939, membro del Partito Nazista. Grazie al suo impiego nell’Abwerh, al giovane Schindler fruttarono molteplici agganci e amicizie influenti. In primis con la Gestapo, e in secondo luogo con persone dell’ambiente industriale, economico, politico tedesco. Questi gli valsero come trampolino di lancio per una rapida ascesa economica, che lo portò presto a trasferirsi a Ostrava, ai confini della Polonia. Ebbene, proprio qui conobbe il suo futuro commercialista e braccio destro Izthak Stern.
Iniziò dunque, nonostante le leggi razziali proibitive, a intrattenere affari con la comunità ebraica, nascondendo documenti segreti insieme alla moglie Emilie, oltre a rilevare successivamente una fabbrica abbandonata di utensili da cucina. La rinominò Deutsche Emaillewaren – Fabrik (D.E.F., Fabbrica tedesca per prodotti smaltati) e avviò la produzione secondo un nuovo piano industriale, molto più vantaggioso e economico: l’assunzione di manodopera ebrea a basso costo piuttosto che quella polacca (1940 – 1941).
Contemporaneamente gli ebrei furono confinati, per volere delle SS, nei ghetti. Nello stesso anno la produzione passò al campo bellico, poiché iniziavano a scarseggiare gli armamenti. Schindler assistette ai rastrellamenti del 1942, un fenomeno atroce, violento, umiliante per migliaia e migliaia di famiglie giudee e decise, agghiacciato da quella visione, di raccogliere sotto la sua influente ala protettiva circa millecento prigionieri, rinchiusi nel campo di concentramento Krakow – Plaszow. Oskar riuscì a convincere il comandante in carica Amon Göth, suo profondo conoscente, a rilasciarli illesi, ovviamente sotto lauto compenso. Ancora una volta, appena le cose si misero male con i tedeschi, a causa dell’invasione dell’armata rossa, Schindler riuscì a salvarli tutti trasferendoli nella sua terra natale a Brunnlitz, giusto in tempo prima dello sterminio. Terminata la guerra, l’imprenditore ceco dovette lasciare i suoi dipendenti per scappare oltre oceano, lontano dalle truppe alleate. Infatti, venne accusato di appartenere al partito nazista e avviarono un processo in contumacia per condannarlo. Presto, però, fu non solo dichiarato innocente, ma anzi fu riconosciuto quale Giusto tra le Nazioni, un fedele amico della comunità ebraica.
Realizzato con un budget complessivo di 22 milioni di dollari, Schindler’s List ebbe numerosi passaggi di testimone, prima di ritrovare in Steven Spielberg il suo padre biologico. Difatti questo, inizialmente coinvolto solo come produttore, con la sua società Amblin Entartaiment (insieme alla Universal Pictures), subentrò alla regia dopo che il ruolo fu proposto ad altri colleghi quali Martin Scorsese, Billy Wilder e Roman Polanski. Dopo essersi trasferito in Polonia, Steven Spielberg venne ispirato dalla storia del noto imprenditore ceco e dai suoi sopravvissuti, gli ebrei di Schindler (Schindlerjuden), desiderosi di raccontargli le loro vite costellate di tragedie e rinascite. Non a caso, lo stesso regista dichiarò in un’intervista durante gli anni successivi: «Il mio scopo era combattere l’odio e l’ignoranza che l’Olocausto aveva generato».
Proprio per la sua fondamentale importanza storica e memoriale all’interno, non solo del panorama cinematografico, ma soprattutto degli archivi internazionali, Spielberg aveva deciso di introdurre nel cast attoriale di Schindler’s List nuovi volti, sconosciuti al grande pubblico, al fine di convogliare lo spettatore sulla tragicità di quegli eventi. Per questo vennero chiamati a raccolta i tre inglesi Liam Neeson (Oskar Schindler), Ben Kingsley (commercialista e braccio destro di Schindler Itzhak Stern) e Ralph Fiennes (il comandante tedesco Amon Göth), acclamati a posteriori sia dal pubblico che dalla critica.
Inizialmente, l’opera doveva esser girata proprio all’Auschwitz Birkenau State Museum, ma, successivamente essere stati respinti dal congresso ebraico in quanto gesto irrispettoso nei confronti della storia del luogo, la produzione decise di ricostruire interamente il campo al di fuori del distretto. Il film fu quindi ripreso a Cracovia e nei suoi dintorni, per mantenere l’autentica scenografia di quei racconti. Caratterizzata sia da azioni antisemite da parte di alcuni stranieri, sia da un clima pesante e solenne che si avvertiva sul set, l’intera produzione di Schindler’s List si concluse in poco più di due mesi. Le riprese vennero trattate dal regista con uno stile puramente documentaristico, crudo, schietto, tagliente, che, più che raccontare, assisteva alla storia con un occhio esterno. Ebbene Spielberg gli conferì tale peculiarità, soffermandosi soprattutto sull’aspetto dell’umiliazione, della denigrazione verso l’essere umano, per il suo differente aspetto, religione e cultura. Tutto ciò lo rese possibile grazie all’accurato impiego della camera a mano, presente per la maggior parte del film.
Tramite l’uso di molteplici movimenti di camera che anticipavano e seguivano i personaggi, l’opera iniziava con la rappresentazione figurativa di un Oskar Schidler importante, prestigioso, carismatico, che sapeva e voleva conquistare il potere politico – militare della Germania Nazista. Si circondava dunque di SS, belle donne, funzionari di alto rango, comprandoli tutti con ampie “donazioni” e regali costosi quali il vino. Contrapposti totalmente dal regista con l’uso di inquadrature a camera fissa, Schindler’s List poneva da subito, agli occhi dello spettatore, la linea di demarcazione tra il benessere della presunta razza perfetta e il degrado devastante di quella giudea, gettata e maltrattata come la più infima delle creature. Difatti, grazie all’editto 44/91, 10.000 ebrei furono costretti a rifugiarsi nel ghetto, in un’aria angusta di soli 16 isolati, dove l’astuto imprenditore conobbe, nel concilio degli ebrei, il suo futuro fedele compagno Stern. Ebbene Schindler, proprio grazie a quest’ultimo, riuscì ad avviare la sua fabbrica, ad arricchirsi alle spalle dei suoi lavoratori, di ogni ceto, provenienza e formazione. Questa linea però, Steven Spielberg, nello svolgimento della trama, la ridusse sempre di più, la assottigliò, riducendola infine al filo trasparente della verità, ovvero che dietro a quella guerra non c’era alcun compenso, ma soltanto puro orrore.
A dar ulteriore corpo al film fu la decisione cruciale del regista, insieme al direttore della fotografia polacco Janusz Kaminski, di girare solo ed esclusivamente con una pellicola in bianco e nero, per dargli, a detta dello stesso DoP, “un’impronta senza tempo“. Nonostante le accese discussioni con il dirigente della Universal Tom Pollock, la pellicola riuscì a mantenere il suo gusto, formato non solo dal preminente bianco e nero, ma anche da una fondamentale sottolineatura dell’emozione tramite il chiaroscuro delle luci.
Invero, la prima scena di Schindler’s List che Spielberg evidenziò fu la celebrazione dello Shabbat, a colori, nel quale un rabbino accendeva le candele, simbolo di speranza e fede. Man mano che queste si consumavano, il colore sbiadiva, presagio dell’incombenza della guerra, fino all’ultimo spiraglio di luce delle fiammelle ormai morenti. L’influenza emotiva che ebbe l’uso delle forti luci e delle ombre sulla pellicola, si strutturò, in particolar modo, nella scena della divisione e del recupero degli effetti personali dei prigionieri. Questa rappresentata con cura e naturalezza in un piano sequenza continuo, dove tutto veniva valutato meticolosamente per essere riciclato, dai vestiti, alle scarpe, alle foto familiari, fino ad arrivare al reparto otturazioni in oro; venne costruita al solo scopo di instaurare un climax ascendente, di ansia e dolore, che vorticava nello spettatore fino alla sua conclusione.
In Schindler’s List, Spielberg riuscì a rievocare perfettamente e fedelmente il terrore dei rastrellamenti, nelle quali urla, pianti isterici, volti deformati dalla paura e dal sangue dei propri compagni, venivano trasportati fuori dallo schermo, direttamente nella mente collettiva del pubblico. A dar man forte al pathos glaciale e crudele della storia, il regista contrappose l’operetta movimentata di Bach: English Suite NO. 2 in LA minore, che creava un ulteriore senso di disturbo ai flash e agli spari delle esecuzioni. Un’altra questione fondamentale fu la chiara distinzione e contrapposizione tra la figura del nostro protagonista, un uomo buono che si rivelerà incredibilmente generoso, a quella del comandate Amon Göth, al contrario crudele, spietato e implacabile nel saziare la sua sete di sangue. Nemmeno un uomo, ma un essere infido, che non osava minimamente assoggettarsi al volere di nessuno e che voleva annichilire l’altro sotto il suo pesante stivale.
Da una parte, dunque, si vede, durante tutta la pellicola, la risata del comandante, sadica, disturbante, che contemplava glorioso la sua opera di distruzione. Mentre dall’altra lo sguardo torbido e spaventato di Schindler il quale, per la prima volta, è costretto a osservare dall’alto come un avvoltoio, con riprese panoramiche oblique, tutta quella devastazione.
Proprio qui Spielberg cambiò totalmente le carte in tavola dei primi due atti del film, colorando di rosso un unico elemento, un cappotto, di un singolo personaggio, una bambina, da cui Schindler sembrava attirato. Lo spettatore la vedrà nascondersi, perdere il suo colore, la sua essenza innocente e infantile, per paura di essere catturata dai cattivi. Poi la vedrà successivamente, per l’ultima volta, insieme agli occhi sconcertati del protagonista, alla sua morte, quando verrà riesumato il corpo per la cremazione. Steven Spielberg associò a quella scena il cambiamento interiore dell’imprenditore, ormai svuotato della sua anima gioiosa e cauta, per mutarla in disperata determinazione e forza di volontà, per salvare quanti più ebrei possibili. Da qui, le caratteristiche tecniche che il regista aveva attribuito ad entrambi i personaggi, ovvero inquadrature oblique dal basso verso l’alto in penombra per il viscido e astuto comandante Göth, e le inquadrature frontali dal basso luminose per Schindler, per evidenziare il potere e la bontà, si rimescolarono totalmente, in quanto specchio riflettente della conclusione della guerra. Göth, ormai non più così spavaldo e sicuro di vincere, venne ripreso frontalmente da Spielberg in due occasioni. La prima quando, in un atteggiamento disperato e di “vero amore”, perse alle carte il potere su Helene (Embeth Davidtz), la sua governante. Mentre la seconda durante la sua esecuzione per impiccagione, ormai arreso al suo destino.
Il giorno della resa della Seconda Guerra Mondiale Schindler si congedò dai suoi amici, ma non prima di aver ricevuto da quest’ultimi un regalo, un anello commemorativo con incisa una frase in ebraico del Talmud: «Chiunque salva una vita salva il mondo intero» .
Steven Spielberg decise di concludere Schindler’s List con una leggera transizione inversa, dal bianco e nero ai colori, dove ogni singolo sopravvissuto, dal suo pellegrinaggio per una nuova vita, è passato per il cimitero di Gerusalemme per celebrare la vita di Oskar Schindler, deceduto nel 1974. Attori e redivivi porsero insieme due pietre, fino a ricoprire la lapide del noto imprenditore, per ricordare non solo le gesta che aveva compiuto, ma anche l’uomo mastodontico che era stato. Il muro di tutti, composto di quegli stessi sassi, nonché le anime dei suoi lavoratori a cui si era aggrappato.
Schindler’s List ebbe un incommensurabile successo in tutto il mondo, con incassi pari a 321.300.000 dollari, oltre alle 12 nomination agli Oscar del 1994, di cui ne vinse sette (tra queste ovviamente quella come Miglior Film). Seguendo l’onda del successo del suo capolavoro, Spielberg fondò poi nel 1994 la Shoah Foundation, luogo di memoria e testimonianze di oltre 52.000 storie. Il solo e unico scopo della fondazione era quello di educare le generazioni future alle atrocità della storia, per non essere mai più ripetute.