Roman Polanski si dispone nuovamente dietro la macchina da presa per nostra fortuna, ne fa il suo pennello per una pellicola che comincia nel 1895, poco prima che i Lumière allestissero il loro curioso esperimento. Di cinema ne scrive un capitolo importante Polanski con J’Accuse (“L’Ufficiale e la Spia” il titolo italiano, qui la recensione), si conferma maestro curando delle immagini in movimento pulite e formalmente eleganti. Ma ciò a cui il regista polacco naturalizzato francese aspira, tramite le sue note doti registiche e la riproduzione storicamente accurata di ambienti e costumi, è “la realizzazione di un film dove si dice che in nome della verità bisogna sacrificare ogni cosa”. Il suo intento è limpido come la chiarezza espositiva e narrativa del film che è messa al servizio di un grande tema e di una grande storia, quella del processo ad Alfred Dreyfus, capitano ebreo dell’esercito francese accusato ingiustamente di tradimento, capro espiatorio figlio della sua fede religiosa.
Dietro un evento storico così significativo, di un’ingiustizia di così grande portata, di una figura discriminata per il proprio credo, si potrebbe pensare che si stia parlando de Il Pianista. Infatti le due pellicole di Polanski coincidono in molti aspetti interni ed esterni, si intreccia l’incredibile storia del regista che sembra non esaurirsi mai. L’ultimo paragrafo della sua rocambolesca vita, che lo vede nuovamente accusato (“J’Accuse”) di molestie sessuali per fatti avvenuti quarantaquattro anni fa, si riflette nella sua ultima opera, opera dell’artista del cinema che pone l’inevitabile quesito se sia giusto separare l’uomo dalla figura professionale, la risposta troverà la strada da se.
Fatto sta che con J’Accuse, titolo ripreso dal medesimo articolo di Émile Zola contro lo stato francese (e divenuto “J’Abuse” oggi in Francia per contestare ciò di cui è accusato il regista), Roman Polanski come i protagonisti della vicenda da lui narrata, Alfred Dreyfus (Louis Garrel) e il colonnello Piquart (Jean Dujardin), ha intenzione di tenere alto l’orgoglio in nome di una giustizia, sacrosanta almeno nel film, più potente della corruzione istituzionale come vorrebbe la storia e in nome di temi quali il razzismo, l’antisemitismo che come dichiarato da egli stesso, sono ancora attuali. Una vicenda personale da cui è difficile prescindere, ma che quantomeno lascia agli annali della storia del cinema una pellicola magistralmente realizzata, acclamata e insignita del Leone D’Argento (Gran Premio della Giuria) a Venezia e nelle sale dal 21 Novembre.
Quando Polanski sarà andato negli Usa a rispondere delle accuse che gli sono mosse sarò contento di riconoscere la magistralita’ del suo impegno come regista. Per il momento il titolo giusto e’ J’ abuse.