#RomaFF18: Volare, la recensione del film di Margherita Buy

Quanto è frustante uscire dalla sala insoddisfatti? Tantissimo, soprattutto quando i presupposti iniziali sono buoni e ci si trova all’interno di un festival. Alla diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, infatti, Volare, nuovo film di Margherita Buy, manca il bersaglio, e non di poco.

Partiamo dalla trama che è, per l’appunto, un’ottima base su cui il film poggia. Annabì (interpretata dalla stessa Margherita Buy) è un’attrice con la paura dell’aereo. Una paura viscerale e ingombrante che le fa rinunciare a ruoli importanti oltre oceano, incatenandola a interpretazioni di produzioni televisive nostrane. Quando, però, la figlia viene ammessa in un collage americano, l’amore materno la spinge a iscriversi a un corso pratico per superare questa sua fobia. Qui, insieme alla classe, a una psicologa e a un pilota, cercherà di affrontare un volo Roma-Milano. Seppur semplice, questa storia è perfetta per una commedia leggera di successo, di quelle che guardi sul divano con la famiglia. Purtroppo, però, personaggi e struttura son stati gestiti male, a tal punto da rendere il film sterile e quasi incompiuto.

Per quanto riguarda i personaggi, per esempio, non sono stati sfruttati a dovere. La classe in cui la protagonista viene immersa è, infatti, uno splendido mix di individui strani ed esilaranti: c’è il contadino del nord che parla solo delle mucche, un critico cinematografico orgoglioso, una pet-sitter che vuole rivedere dei cani in Australia e persino un indiano snocciolatore di proverbi pacifisti. Quando lo spettatore li conosce, durante la prima lezione, non vede l’ora di vederli in azione, di scoprire cosa faranno, perché non riescono a salire su un aereo e come proveranno a superare i loro limiti. Si percepisce da subito quella tensione comica, si pregustano già le gag e si aspetta che queste si realizzino davanti ai nostri occhi. L’attesa, però, non solo è infinita ma anche disillusa, poiché la storia li lascia sullo sfondo concentrandosi troppo sulla protagonista, il personaggio meno interessante e comico.

Con una scelta di questo tipo, la sceneggiatura dovrebbe essere di ferro, a prova di errore, per cercare di non sbagliare ma, anche in questo caso, non è andata come si sperava. Concentrarsi solo sul personaggio di Annabì, infatti, ha creato una serie di reazioni a catena che, come risultato, hanno rilasciato un film lento, pieno di situazioni e dialoghi scollegati. Lo spettatore rimbalza come la protagonista da una relazione ad un’altra, perdendo il fulcro della questione: la paura di volare. C’è la scena con il padre nello studio, quella in hotel con la compagna di classe che poi sparisce senza alcun nesso logico, quella dell’indiano che grida in aereo interrotta bruscamente dal funerale del padre, a caso, senza preavviso.

Una ragione a tutto questo forse c’è. Sebbene un critico cinematografico non dovrebbe mai, e poi mai, fare supposizioni azzardate qui è necessario. Il problema, in questo film, molto probabilmente è stata proprio Margherita Buy: non solo attrice protagonista, non solo regista ma addirittura sceneggiatrice. Alla luce di questo non sorprende vedere al centro della scena sempre il suo personaggio, Annabì, e non sorprende nemmeno che molti dei fattori in cui era coinvolta scricchiolano, a partire dalla recitazione che non le è riuscita in maniera ottimale. Meglio fare poco ma bene, che troppo e male.

Volare, quindi, è come uno di quei voli aerei che fila liscio, senza vuoti d’aria o turbolenze, di quelli che ti tranquillizzano finché, dopo l’atterraggio, non scopri che ti hanno perso i bagagli. È puro potenziale inespresso, una carica esilarante non esplosa in risata. L’unica cosa che ci resta da sperare è che, qualcun altro, in futuro, decida di fare un remake.

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