#RomaFF18: Jules, la recensione del film di Marc Turtletaub

Può un alieno capirci meglio di un nostro simile? La risposta del film Jules (trailer) è inequivocabile: sì. Alla diciottesima Festa del Cinema di Roma, Marc Turtletaub porta un soffio di aria fresca con uno sci-fi dai toni caldi, pacati e divertenti.

La storia è molto semplice: Milton (Ben Kingsley) un anziano solitario, una notte vede precipitare nel suo giardino una navicella spaziale. Da quel disco liscio e grigio, ne esce un alieno blu silenzioso, dagli occhi grandi e comprensivi. Milton non ha nessuna remora e, dopo qualche attimo di paura, accoglie il viaggiatore intergalattico, aiutato da due sue amiche, Sandy (Harriet Sansom Harris) e Joyce (Jane Curtin). La semplicità della trama, in realtà, sorregge un racconto molto profondo e disarmante il cui centro risiede nel tema della vecchiaia, della solitudine e della paura della morte stessa. Milton, Sandy e Joyce sono i classici personaggi abbandonati, rilegati in un angolo dalla società che, sbuffando, cerca di includerli per compassione. Sono personaggi feriti, segnati dal tempo: chi ha troncato i rapporti con un figlio, chi non vede da tre anni la figlia lontana, e chi, invece, non ha mai avuto qualcuno al proprio fianco. Un bagaglio di esperienze pesante che solo un alieno riuscirà a comprendere e, in qualche modo, ad alleggerire.

Jules (come viene battezzato l’extraterrestre), infatti, rappresenta in qualche modo quel bisogno recondito di ascolto, quella necessità che noi esseri umani abbiamo di essere capiti, di trovare qualcuno disposto a farlo, non importa se sia il vicino di casa, il cassiere o un alieno. Marc Turtletaub riesce ad affrontare questo spinoso argomento con una delicata leggerezza, alternando battute dallo humor inglese (nonostante il film sia americano) con scene profondamente drammatiche. La sua regia, dai colori brillanti e le inquadrature nitide, non nasconde nulla. Senza timore punta l’obiettivo sui soggetti che, non potendosi nascondere, ci mostrano tutte le loro emozioni in maniera limpida: gioia, tristezza, paura, rabbia e, infine, accettazione.

Jules non è il classico film sugli alieni, di quelli che ci raccontano la paura del diverso, del razzismo e dell’accoglienza. Nient’affatto: è un film sull’uomo e l’anzianità, sulla paura più primordiale della solitudine. Jules è come un post-it su un angolo del frigo, mezzo nascosto da calamite pacchiane e sgargianti, che ci ricorda di essere più empatici, di notare chi non è protagonista, di essere quell’extraterrestre dagli occhi comprensivi per chi ci sta accanto. Essendo una commedia, però, a fine film non capirai più se hai gli occhi umidi dalla commozione o dalle troppe risate.

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