#RomaFF18: Cottontail, la recensione del film di Patrick Dickinson

Ambientato a metà tra Giappone e Inghilterra, Cottontail, film scritto e diretto da Patrick Dickinson, propone sullo schermo la storia di un ricongiungimento familiare focalizzato sulla relazione tra padre e figlio. Presentato alla diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public, il film si è aggiudicato il Premio BNL BNP Paribas per la Migliore Opera Prima.

Il padre, Kenzaburo, viene interpretato dall’attore Lily Franky noto per aver interpretato lo stesso ruolo anche in Un affare di famiglia; un attore che riesce bene a inserirsi e dare valore alle più disparate dinamiche familiari e che in questo caso veste i panni del protagonista, un uomo che ha da poco perso la moglie. Moglie che viene rappresentata come il grande amore della sua vita e di cui l’assenza impegna tutta la narrazione; Akiko (Tae Kimura), difatti, ha un ruolo fondamentale per lo sviluppo della storia ed è presente in essa attraverso il suo ricordo evocato più volte dal protagonista.

Nelle prime scene Kenzaburo si lascia travolgere da un’ondata di malinconia quando, ricreando le stesse dinamiche del loro primo incontro, ricorda una giovane Akiko vitale e coinvolgente, per poi nel corso nella narrazione, mediante l’uso di flashback, mostrare il lento declino della donna a causa di una malattia che segnerà la sua fine. La piccola rievocazione viene però interrotta dal figlio della coppia, Toshi (Ryo Nishikido), che richiama più volte il padre alla dimensione reale, spronandolo a ricomporsi in vista della celebrazione del funerale. L’uomo appare apatico, decisamente distaccato: non consola il figlio e rifiuta di essere consolato a sua volta. Una presa di posizione che non appare fatta con il reale scopo di rifiutare il ragazzo ma, diversamente, perché non ancora pronto a razionalizzare la grande perdita subita.

Toshi, infatti, è sempre stato tagliato fuori dal nucleo famigliare, fattore che emerge chiaramente attraverso i ricordi che riguardano la malattia di Akiko dove è Kenzaburo a volersi costantemente occupare di tutto. Questo antefatto, nel corso del tempo, ha creato una distanza sempre più ampia tra i due uomini rendendo ancora più evidente come la morte della moglie abbia portato Kenzaburo a una chiusura totale riguardo ai suoi sentimenti; una sfera, quella emotiva, a cui solo Akiko era in grado di accedere e che, in sua assenza, sembra destinata ad essere messa da parte. Akiko, inoltre, ci viene raccontata attraverso gli occhi innamorati del protagonista che la ricorda quasi come una figura ultraterrena e priva di imperfezioni oltre che, in seguito, un corpo in balia della malattia.

La donna, una volta diagnosticata la malattia, appare già proiettata verso un futuro prossimo in cui la sua presenza rappresenterà un peso per i suoi cari. Dunque, cerca fin dal principio di convincere Kenzaburo a porre fine alle sue sofferenze, se mai diventassero insostenibili. Promessa che l’uomo si viene costretto a suggellare seppur, in seguito, non sarà in grado di rispettare fino in fondo. Anche in questo caso è l’ultimo desiderio della donna a rappresentare un’ulteriore premura verso la famiglia, Akiko chiede infatti che le sue ceneri vengano disperse nei pressi del lago Windermere, in Inghilterra.

La famiglia, composta non solo da padre e figlio ma anche dal nuovo nucleo familiare creato da quest’ultimo, si appresta a intraprendere il viaggio che però viene, in parte, boicottato da Kenzaburo, deciso ancora una volta di farsi carico da solo delle volontà della moglie. A riportare l’uomo sulla buona strada, letteralmente e metaforicamente, sono un padre e sua figlia, reduci anche loro dalla recente perdita della rispettiva moglie e madre. Gli inaspettati benefattori lo spingono a contattare il figlio e accompagnano l’uomo, che si era perso, al lago scoprendo però che il luogo non era quello indicato da Akiko. Inizia dunque una seconda fase del viaggio dove l’unico riferimento è una foto di Akiko con suo padre, un ricordo felice che la donna ha più volte rievocato e che verrà riproposto specularmente alla fine dell’avventura.

La scena finale mostra, infatti, la tanto agognata riappacificazione tra Toshi e Kenzaburo che però, una volta ricongiunti alla moglie e alla figlia di Toshi, appaiono ancora una volta fisicamente e intimamente distanti. Una distanza che viene colmata dall’inseguimento collettivo di un coniglietto, avvenimento che ricalca quanto raccontato in precedenza da Akiko e rappresenta un elemento di rafforzamento nel ripristinato, ma ancora instabile, equilibrio familiare.

Nonostante ciò i momenti più toccanti sono quelli in cui è presente Akiko, la storia d’amore viene raccontata in modo tenero e appassionante mentre nel delicato compito di ricucire il rapporto padre-figlio Dickinson non lascia il giusto livello di emotività libero di scorrere. Ciò crea nello spettatore la sensazione di essere semplicemente un osservatore esterno, incapace di connettersi alla scena, che finisce per risultare così irrimediabilmente statica. Cottontail si può definire un film dal ritmo pacato che non riesce fino in fondo a raggiungere dei picchi emotivi neanche nelle scene più forti, nonostante la grande attenzione alla fotografia (che si nota maggiormente nella composizione delle scene) e un corretto sviluppo dei personaggi.

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