#RomaFF17: Foudre, la recensione del film di Carmen Jaquier

Foudre recensione film Carmen Jaquier

Presentato nella sezione Progressive Cinema della 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, Foudre (trailer) di Carmen Jaquier segue il percorso di Elisabeth (Lilith Grasmug) nella scoperta del proprio corpo e della propria sessualità. Mandata in convento all’età di 12 anni, la ragazza è costretta tornare dalla propria famiglia dopo la morte della sorella maggiore Innocent per lavorare la terra. La sua rigida fede inizia a essere messa in crisi dopo l’incontro con tre ragazzi, desiderosi di conoscenza e libertà.

La Jaquier delinea una mondo dove la religione si è trasformata in una prigione che reprime il desiderio. Le stesse inquadrature spesso sono composte in modo tale da creare l’impressione di personaggi chiusi in gabbia, quasi richiamandosi al The Witch di Robert Eggers. Il sesso è un chimera così come la sua libera espressione. L’intera famiglia di Elisabeth vuole dimenticare la figlia morta di cui si rifiuta di parlare eppure il suo fantasma continua ad ossessionarla concretizzandosi nel diario che la sorella troverà poco dopo il suo ritorno. È lei a dare corpo alla voce di Innocent leggendo quello che ha scritto e prendendo allo stesso tempo sempre più consapevolezza di sé.

Oltre al fantasma di Innocent ne è presente un altro, quello appunto del desiderio che inizia a manifestarsi in modo sempre più forte rendendo quello di Elisabeth un percorso che è anche di morte e rinascita. Un desiderio che trascende l’opposizione tra corpo e spirito e che viene a configurarsi, anzi, come il tramite per una loro unione. Tanto che Innocent sulle pagine del suo diario scriverà: “Dio è il luogo del mio desiderio”.

Eppure è proprio questo che viene a mancare a Foudre. La capacità di manifestare intensamente questo desiderio e di renderlo percepibile. Se sotto questo punto di vista la Jaquier sembra guardare a Ritratto della giovane in fiamme di Celine Sciamma, a latitare è la capacità di costruire una struttura in grado di trattenere e poi far esplodere il sentimento. E dal momento che di unione tra corpo e spirito si sta parlando viene da chiedersi perché quei corpi non riescano mai a manifestarsi compiutamente. I quattro ragazzi si baciano, si scambiano carezze, stanno nudi e abbracciati sull’erba ma quello che manca è proprio l’atto sessuale e questo sembra essere in netta contraddizione con quello che emerge dalle pagine del diario di Innocent. Non è chiaro se si tratti di una forma di autocensura o di una questione di “sensibilità”, ma di certo non si dovrebbe temere di dare espressione alla corporalità e a maggior ragione se si tratta di un elemento fondamentale la cui assenza non può che compromettere il risultato finale.

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