La Festa del Cinema di Roma anche quest’anno porta nella capitale ospiti d’eccezione. La prima intervista, o meglio, il primo incontro ravvicinato (per usare la dicitura classica della festa) vede protagonista Jessica Chastain, personaggio principale del film The Eyes of Tammy Faye (trailer) diretto da Michael Showalter, film di apertura di questa sedicesima edizione. L’attrice, oramai amatissima ad Hollywood, ha debuttato nel 2011 con il film Jolene di Dan Ireland, ma il ruolo che l’ha resa nota è sicuramente quello della signora O’Brien in The Tree of Life di Terence Malick. In The Eyes of Tammy Faye riveste i panni della protagonista, una donna divenuta complice di vari scandali sessuali e finanziari attuati dal marito Jim Bakker.
Nella realizzazione di The Eyes of Tammy Faye ha rivestito anche il ruolo di produttrice. Come è nato questo progetto?
Nel 2012, durate la visione dell’omonimo documentario diretto da Fenton Bailey e Randy Barbato, sono rimasta colpita dalla storia di questa donna (Tammy Faye Bakker). Sono passati dieci anni da allora. Ho deciso di produrre questo film perché mi considero una provocatrice nelle storie che tratto. Il mio scopo non era quello di raccontare gli scandali, ma volevo portare sullo schermo un’autentica storia d’amore. Ho incontrato anche i due figli di Tammy Faye e li ho coinvolti nella realizzazione del film. Erano rimasti sconvolti dai vari scandali che avevano coinvolto la madre, il mio desiderio era di far capire loro che non volevo soffermarmi su pettegolezzi, fatti di cronaca, ma sull’amore. Mi hanno raccontato molte cose su Tammy Faye, per esempio mi hanno descritto il profumo che amava indossare.
Parliamo di Zero Dark Thirty diretto da Kathryn Bigelow: come ha costruito il suo personaggio?
Per la costruzione del personaggio ho fatto una grande ricerca, mi solo lasciata ispirare soprattutto dalla lettura dal libro di Michael Scheuer su Bin Laden. Il mio processo di avvicinamento a Maya Harris (la protagonista del film) lo si può considerare come un’immersione. Ho seguito quasi alla lettera la sceneggiatura, non sarebbe stato facile improvvisare i termini tecnici utilizzati all’interno di organizzazioni di spionaggio. Cercando di assimilare quanto più possibile da questo ambiente ho scoperto come la CIA faccia affidamento su un folto gruppo di donne, indispensabili per portare avanti le missioni.
Quando lei sceglie un ruolo se ne innamora?
Ogni volta che interpreto un personaggio devo trovare un seme di connessione, anche se si tratta di qualcuno completamente diverso da me. Lascio che questo seme cresca lentamente dentro di me fino ad entrare in empatia con il personaggio.
Di recente l’abbiamo vista nei panni di Mira nella miniserie Scenes from a Marriage diretta da Hagai Levi. Che rapporto ha con l’omonima serie di Bergman?
Conosco e ho amato la serie originale. Se mi avessero presentato il progetto come un semplice remake avrei sicuramente rifiutato dato che per me c’è una sola Marianne, ed è Liv Ullmann. Ho accettato di interpretare il ruolo proprio perchè si tratta di un prodotto che mira ad una modernizzazione. Ho voluto rappresentare una donna con insicurezze, difetti, una donna ricca di quelle sfaccettature capaci di renderla umana.
Sappiamo che conosce da molti anni Oscar Isaac, suo collega nella serie di Hagai Levi. Com’è lavorare con qualcuno con cui si ha un legame affettivo così duraturo?
Io e Oscar ormai riusciamo quasi a leggerci nel pensiero. L’altro giorno eravamo in un Talk Show e ad un certo punto ho indovinato la battuta che voleva fare ancora prima che la facesse. C’è tanta fiducia tra di noi. Ma dall’altra parte, una persona che ti conosce così bene, sa anche come ferirti, conosce i tuoi punti deboli. Durante le riprese siamo arrivati quasi alle mani, tanto era forte la chimica tra noi due.
Cosa ha imparato da Terrence Malick, che l’ha diretta in The Tree of Life?
Malick è il tipo di uomo e di regista che ti vuole insegnare a diventare un essere umano, a sviluppare qualità come il perdono. Questo film lo considero come un progetto separato dalla mia carriera, per me ha rappresentato un’esperienza di vita. É l’unico film a cui ho partecipato che non ho avuto il coraggio di guardare. Il mio desiderio è che la mia famiglia, una volta che sarò venuta a mancare, lo veda e riesca a trovare una parte di me, un pezzetto di quello che sono stata.
Sta lavorando ad un film su Tammy Wynette. Cosa le piace di questo personaggio?
Trovo interessante lavorare su una cantante country così famosa. Sono entusiasta di questo progetto, adoro esplorare il mondo della musica. Sono consapevole di quanto cantare mi metta a disagio, ma, in fondo, sono sempre alla ricerca di situazioni che riescano a mettermi in difficoltà e a stimolarmi.