Plan 75, la recensione: l’eutanasia per non sentirsi di troppo

Plan75 recensione film di Chie Hayakawa DassCinemag

Michi (Chieko Baishō) è pagata per levare il disturbo. Premiato nel 2022 a Cannes con la menzione speciale Caméra d’Or, Plan 75 (trailer) è il film che prende il suo titolo dal cinico programma di un futuro che risulta incredibilmente vicino. La regista nipponica Chie Hayakawa pone al centro della sua storia un piano di regolazione del tasso di invecchiamento demografico. Un’anziana signora, con l’avanzare naturale della propria età, finisce per perdere tutto. Il lavoro, gli affetti, la capacità di stare a proprio agio in una ambiente ipertecnologico assalgono come predatori la quotidianità di Michi, che finisce per credere di non essere adatta ad un mondo così diverso da quello che ricordava.

La società del futuro si sente appesantita dall’enorme numero di anziani che ingombra il futuro dei giovani. I nuovi, gli “adatti”, figli dei vecchi che non servono più, manipolano le vecchie generazioni come oggetti da smontare, spogliare, annientare, cremare. D’età senile non esistono individui, ma consumatori “consumati”, corrosi dalla solitudine e dalla fretta delle nuove persone-macchine, pronte a soppiantarli. La sceneggiatura incarta i personaggi come vecchi reperti inutili, li priva di poesia e di dignità e li lancia in pasto al Plan75, in un’atmosfera profondamente drammatica, e teatrale al punto giusto. Il progetto, esposto dall’operatore all’anziano come una proposta immobiliare, è scandito in fasi, e prevede ogni genere di comfort, di cui l’anziano può godere prima della fine. La solitudine e lo sgomento si infittiscono fino a diventare disturbanti, soprattutto nelle sequenze finali. La dolcezza dell’età senile è bruscamente interrotta dalla riduzione degli anziani a larve accondiscendenti, che elemosinano calore e dialogo, anche fosse con un automa. Il personale dell’azienda Plan75 è istruito sulle regole del gioco, che parlano chiaro: bisogna distogliere gli anziani da qualsiasi ripensamento, per evitare che facciano marcia indietro, decidendo di vivere, e di sovraffollare. 

Plan75 recensione film di Chie Hayakawa DassCinemag

Yoko (Yumi Kawai) è l’operatrice che avrebbe dovuto parlare con Michi, guidandola fino alla fine della sua vita, e dunque portando al termine il suo lavoro. Esiste, però, uno spiraglio di luce in un futuro che sembra così tragico e per certi versi scontato. Yoko si schiera dalla parte della giustizia, sfrutta la posizione di operatrice call center per interrompere la manipolazione di cui Michi è vittima: «Ricordi che in qualsiasi momento, può scegliere di interrompere il percorso». L’essere umano, seppur in un futuro terribilmente catastrofico e disumano, sembra distinguersi anche nel ruolo del salvatore. La catastrofe innescata da alcuni viene interrotta dalla ribellione di altri, e in questo caso, di Yoko. 

Un’anziana senza familiari può a sua volta ritrovare il calore perso nell’altruismo di un estraneo disposto a distogliere lo sguardo dalla meccanicizzazione della vita. La distopia di Plan 75 trova i suoi archetipi nel passato e nel futuro dello spettatore del ventunesimo secolo: “Gli esseri umani non possono scegliere di nascere, ma è una buona idea poter scegliere la propria morte”. Questo è slogan che promuove il programma d’eutanasia come fosse una vacanza di lusso che dopo anni di lavoro e sacrifici, è finalmente meritata. Il tema della scelta è una maschera, che in realtà comporta una sollecitazione alla morte. Il Piano 75, nella realtà, non esiste, mentre la società e il punto di evoluzione di macchine e sistemi di archiviazione rappresentati nel film, purtroppo, sì. La pressione che la società esercita sugli anziani, fino a farli sentire inutili lascia intuire che un futuro che sembra distopico, è in realtà possibile e anche molto vicino.

Le persone di età avanzata vengono percepite sempre più come macchine umane obsolete, non adattabili ai moderni sistemi digitali che gestiscono il mondo, le case, le strade, lo shopping, e altro. La dignità umana non è più un valore rilevante. La persona non vale quanto l’economia e non può ricevere le attenzioni che invece bisogna dedicare alla produttività. Michi appare, alle nuove generazioni, come qualcosa che non serve e che non produce. La depersonalizzazione è un concetto molto vicino al fascismo: questa selezione sadica spaventa anche di più, se non c’è un unico sadico a gestirla. Il governo diventerà un dittatore invisibile, pronto ad annientare chi non fa funzionare gli ingranaggi del consumismo? 

Al cinema dall’11 maggio.

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