Ritorno a Seoul, la recensione: la delicata indagine interiore di Davy Chou

Ritorno a Seoul, recensione del film di Davy Chou

Approdato in croisette circa un anno fa durante la 75ª edizione del Festival di Cannes, arriva nelle sale Ritorno a Seoul (trailer) di Davy Chou, regista francese di origine cambogiana. Il film ha debuttato nella sezione Un Certain Regard, rassegna competitiva dedicata per lo più a lungometraggi sperimentali, opere prime e radicali progetti autoriali all’interno della selezione ufficiale. La pellicola, frutto di uno sforzo produttivo di Asia ed Europa, è sicuramente uno dei titoli “nascosti” più sorprendenti della scorsa stagione. 

Protagonista di Ritorno a Seoul è Freddie (interpretata dalla debuttante Ji-min Park), una giovane donna francese, che a causa di misteriose circostanze si ritrova a Seoul, la capitale sud-coreana. La metropoli è la metafora del suo passato dal tratteggio sbiadito, su cui deve far chiarezza ed indagare a fondo. Freddie infatti è sulle tracce dei suoi genitori biologici, quelli che anni prima la abbandonarono prima di essere adottata e cresciuta da una famiglia francese. Il viaggio di Freddie però non si limiterà ad essere una ricerca con il fine ultimo di ricomporre i tasselli del suo albero genealogico. Il percorso sarà prevalentemente interiore, un’indagine ben più complessa alla ricerca dell’io, che negli anni muta, si evolve, acquisisce consapevolezza, riesce a perdonare e a perdonarsi. 

Le radici che mancano a Freddie, quelle da cui è stata strappata da neonata, cercano di ristabilirsi attraverso gli anni. La narrazione di Chou difatti non è rilegata ad un lasso di tempo conciso, ma si sviscera in salti temporali dalla natura instabile, due, cinque, dieci anni. Freddie si ripresenta a Seoul, sempre piena di domande, sempre persa in attesa che qualcosa possa risponderle. La protagonista cambia, la gente intorno a lei cambia, ma le incertezze rimangono, come se ogni nuova versione fosse un passaggio di un processo più grande, più complesso e lento. 

Ritorno a Seoul, recensione del film di Davy Chou

Freddie è la rappresentazione cinematografica di una generazione persa, alla costante ricerca della propria identità. Un rebus da dover risolvere, che concerne principalmente la sfera culturale, ma anche quella sessuale, professionale e morale. La protagonista europea si percepisce fuori luogo nella sua terra natia, così come in patria, forse alla ricerca di una “terzo luogo” ipotetico, di un compromesso in cui poter essere finalmente se stessa. 

L’auto-celebrata indipendenza della giovane donna, trova la sua massima espressione in una delle scene più toccanti ed emotivamente coinvolgenti di Ritorno a Seoul. Sulle note di Anybody, una canzone composta dai musicisti Jérémie Arcache e Cristophe Musset curatori della bella colonna sonora, la protagonista si lascia andare in una danza disperata. «I never needed anybody» cita il testo, un grido d’aiuto, una falsa convinzione. I personaggi della vita di Freddie vanno e vengono, sono figurine instabili del suo gioco, pronti ad essere sostituiti da nuovi, più interessanti e promettenti. «Potrei cancellarti dalla mia vita col solo schioccare delle dita» dice a uno dei suoi partner durante un viaggio in taxi. La verità però è che Freddie avrà bisogno degli altri e per ritrovarsi dovrà specchiarsi negli occhi delle persone. I suoi genitori biologici, una collega, il fidanzato del momento e altri saranno tutti personaggi fondamentali del suo percorso, aiutandola man mano a ritrovare e ricomporre i pezzi di sé, facendo luce e scegliendo cosa essere o cosa non essere. 

Ritorno a Seoul è una delicata e misteriosa indagine su pellicola. Davy Chou attraverso la sua protagonista esamina un’esperienza comune, probabilmente simile alla sua esperienza personale, che non cerca risposte ma scava nelle domande, rende universali questioni personali. Lo sfondo è quello di una metropoli enigmatica che anno dopo anno cambia faccia e si trasforma, conforta e terrorizza, proprio come Freddie.

Ritorno a Seoul e nelle sale da giovedì 11 maggio, distribuito da I Wonder Pictures. 

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