Il minutaggio è solo una questione di tempo?

13 minuti. Questo sembra essere il tempio medio di una colazione infrasettimanale. Un tempo spesso di religioso silenzio in cui spesso si prende coscienza del mondo e del sé. I media sono importanti durante questo momento, siano essi un tg o il finale della serie che la sera prima guardavamo quando, ahimè, ci siamo addormentati. 13 minuti possono essere un nulla o un’eternità, dipende tutto dall’occhio di chi li vive. Questo vale nella vita come negli audiovisivi. Pensiamo a Zack Snyder Justice League. Per i suoi 242 minuti quella colazione sarebbe giusta per i titoli di testa. Pensiamo ora ad una web series. Beh, allora quei tredici minuti potrebbero valere buona parte della stagione. La domanda da porsi è: il minutaggio è solo una questione di tempo?

La durata di un audiovisivo ci dice molto. Informa sul format, suggerisce cosa aspettarsi, consiglia come fruirlo. Non è solo una questione strutturale, è una componente culturale. Sei una persona che prende i mezzi pubblici? Allora ti servono contenuti che puoi fruire in attesa alla fermata, qualcosa di sintetico: telegiornali in pillole, sketch, la video-pagella della partita precedente. Sei uno di quelli che pranza con un’insalata al volo? Allora ti serve qualcosa che intrattenga quei 15-20 minuti di pausa. Sei uno di quelli che dopo cena si mette sul divano in stato di pre-sonno? 50 minuti fanno per te, anche se forse dovrai recuperare qualcosa del finale. Sei un masochista dello schermo? Ti meriti Scorsese.

Un tempo il minutaggio era qualcosa di codificato, di esatto. Un film classico dura un’ora e mezza, massimo due ore. Un prodotto televisivo mezz’ora, 45 minuti o un’ora in base agli stacchi pubblicitari. Una sitcom o una soap una ventina di minuti. Non mancano eccezioni ovviamente, ma tendenzialmente questa era la prassi. I motivi sono numerosi e vanno dalla produzione alla scrittura fino alla distribuzione. Poi lo shock. I cambiamenti di mercato, la rivoluzione digitale e la nascita delle piattaforme streaming hanno rivoluzionato il modo di concepire il tempo. La fruizione è cambiata e si adatta ai nostri stili di vita. Non ha più senso avere format specifici in medium dove non c’è pubblicità.

Guardiamo alla rivoluzionaria HBO. Le puntate de I Soprano non sono standard. Pur in linea con il minutaggio canonico della serie tv, gli episodi oscillano in base alle scelte di scrittura. Alcuni sono strutturati in tre atti per una durata di 45 minuti, altri in quattro atti per una durata di 60 minuti. Ma se sulle televisioni via cavo e su quelle satellitari si mantiene ancora una certa rigidità per motivi di palinsesto, con l’on-demand e lo streaming il canone non ha più motivo di esistere.

L’autore di questo articolo rimase sbigottito quando si accorse che la controversa serie Netflix The OA aveva un primo episodio da 71 minuti e un sesto episodio da soli 31. La libertà dal palinsesto ha ampliato le possibilità di strutturazione di un prodotto. Eppure ad una prima occhiata sembrerebbe che i minutaggi ancora persistono nella maggior parte delle serie. Eppure non è propriamente vero. Abitualmente associamo il comico al breve. Tenere ritmo per una ventina di minuti è molto più facile che farlo su un’ora di narrazione. Molto più difficile è creare le condizioni per un dramma in così pochi minuti. Inoltre il comico è un genere più “usa e getta”, adatto ad una visione veloce e superficiale. Ci sono tuttavia serie comiche che, nonostante questo formato, hanno provato ad alzare l’asticella. Su tutte ne segnaliamo due: la divertente Bonding e la stravagante Fleabag.

Sta poi emergendo la ripresa del formato di mezz’ora. Una serie come After Life ne è il degno rappresentante. Rimaniamo nel comico, è vero, ma con toni molto diversi degli esempi precedenti. I suoi tratti drammatici sono spiccati ma non perdono potenza nella breve durata, anzi, forse acquisiscono valore. Un altro esempio è il popolare LOL. A rendere questo prodotto un caso interessante è la consapevolezza con cui viene ridotto ai 30 minuti. Più che un reality show è forse un live show, ma della diretta non ha nulla. Il gioco da più di sei ore è stato condensato in sei episodi che sfalsano la coincidenza tra rappresentazione e rappresentato. Eppure forse il suo successo si deve anche a questo. Lo vedi e lo rivedi in momenti di buco e senza rischiare di spezzare la visione.

Ci sono poi i prodotti rapidi. Sono perlopiù web series, molto variabili di durata, ma spesso capaci di essere narrative nel brevilineo, come nell’eloquente 140 secondi. Non solo però. Anche le piattaforme streaming si sono mosse in questo senso, promuovendo cortometraggi di pochi minuti. Netflix ad esempio propone nel catalogo il toccante Se succede qualcosa ti voglio bene e la serie antologica Love, Death & Robots, con minutaggi compresi tra i 6 e i 17 minuti. Questo andamento è da tenere sotto occhio e potrebbe rappresentare il futuro. Sintomatico è come Andrea Agnelli abbia proposto di creare un pacchetto televisivo relativo ai soli 15 minuti finali delle partite di calcio, in quanto i giovani non sono più in gradi di stare davanti ad uno schermo per l’intero match.

I motivi di questa transizione sono molteplici. La convergenza tecnologica ha lasciato segni importanti nella produzione e nella fruizione, senza ancora giungere al proprio apice. Le nuove generazioni sono multitasking e sempre più immerse in una società che ha fatto della velocità la propria condizione di esistenza. Per il futuro si prevede una riduzione della durata media dei prodotti e ciò dovrà accordarsi con nuove forme di scrittura che sappiano soddisfare le necessità del racconto. Live fast, watch faster.

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