One life, la recensione: uno straordinario esempio che invita tutti ad un’azione concreta

Riproporre nel 2023 un film sull’olocausto dopo titoli come Schindler’s List e Il pianista è un’operazione decisamente audace ma -in questo caso- necessaria per portare alla luce una storia come quella di Nicholas Winton, definito «lo Schindler inglese» dal Daily Mail. Per realizzare One Life (trailer) il regista James Hawes ha attinto fedelmente alla biografia dell’uomo scritta da sua figlia, Barbara Winton, tradotta in italiano e pubblicata da Garzanti.

La narrazione si sviluppa in un continuo andirivieni tra passato e presente ponendo al centro dell’azione un, ormai, anziano Nicholas -Nicky per gli amici- interpretato da Anthony Hopkins. L’uomo, in vista dell’arrivo del primo nipote, viene esortato dalla moglie a liberarsi di inutili cianfrusaglie accumulate nel corso degli anni; pertanto si interroga su dove poter collocare un grande tesoro: un album pieno di fotografie, ritagli di giornale e documenti. Attraverso dei flashback torniamo indietro nel tempo -più precisamente a Praga tra il 1938 e 1939- dove un allora giovane Nicky, con le fattezze di Johnny Flynn, decide di abbandonare il suo confortevole studio (in cui lavora come agente di borsa) e buttarsi a capofitto in un’ impresa ben più grande di lui.

A dargli il benvenuto c’è Romola Carai (Doreen Warriner) un’addetta all’immigrazione che ha il compito di mettere in salvo per lo più politici ma che, seppur con una piccola dose di cinismo iniziale, lascia a Nicky il via libera quando il giovane annuncia di voler mettere in salvo quanti più bambini possibili, ebrei e non. Essenziale per la buona riuscita dell’operazione è la madre di Nicholas, interpretata da un’ austera Helena Bonham Carter che, sfoggiando un estremo savoir-faire, riesce, facendo lei stessa da tramite da Londra, ad arginare l’estrema lentezza della burocrazia. Nasce così il neonato Comitato Britannico per i rifugiati della Cecoslovacchia a cui, dopo essere riuscito a convincere le famiglie di appartenenza ad affidare loro i bambini, non rimaneva che trovare delle famiglie affidatarie a Londra e pagare 50 sterline per ogni bambino; così da far intraprendere ai suddetti un viaggio in treno dalla Cecoslovacchia al Regno Unito.

Ed ecco che, nonostante sembrasse un’operazione impossibile, in soli 9 mesi ben 669 bambini furono tratti in salvo. Nell’animo di Nicholas, però, nonostante gli anni, è ancora annidato un terribile rimpianto: l’ultimo treno, contenente il numero più elevato di bambini, non arrivò mai a destinazione in quanto, a causa dell’invasione della Polonia, fu impossibile lasciare il paese. Torniamo dunque al presente della narrazione dove l’album ha un ruolo fondamentale non solo perché medium della storia e fonte storica in sé ma perché riuscì a rendere nota la storia di Nicholas -rimasta sconosciuta fino ad allora- già nel 1988.

Il film segue cronologicamente tutto l’iter di passa parola nel cercare una dignitosa collocazione a quell’album, contenente in sé una serie di gesta eroiche, che ha portato il protagonista a ritrovarsi inconsapevolmente esposto in diretta tv ad un enorme e improvviso carico emotivo. Invitato senza conoscere alcun dettaglio riguardo al suo intervento, Nicholas si troverà seduto tra il pubblico in studio di una popolare trasmissione della BBC: That’s Life. Lì, dopo una breve introduzione alla sua storia mediante l’album, scoprirà di essere seduto accanto a una delle bambine che ha contribuito a salvare. Lo stesso format viene poi riproposto a distanza di tempo, con la presenza della moglie di Nicholas, amplificato per mille quando tutto il pubblico in studio viene interamente composto dai “bambini di Winton”, come alcuni si sono definiti anche a posteriori.

È comprensibile come nel mettere in scena un racconto dal carico storico, etico e emotivo così pesante Hawes abbia optato per un approccio classico al racconto che, seppur contornato di numerosi flashback, rimane limpido e lineare. L’immagine che potrebbe emergere dalla narrazione di questa vicenda però è quella idealizzata di questo “super-uomo” in grado di salvare il mondo intero e tenerselo per sé. La storia pone l’accento sull’estrema modestia di Winton, che viene spesso spronato da amici e familiari a prendersi i dovuti riconoscimenti del suo operato; è chiaro come questa modestia sia legata alla praticità di Nicky. Un uomo che, durante l’invasione del nemico di intere nazioni, si è rimboccato le maniche per capire che cosa fosse possibile fare a riguardo. Dunque, è la concretezza di Nicholas Winton che dovrebbe accendere in noi non solo intense emozioni legate a temi quale l’olocausto -che ancora oggi riesce a risuonare in noi per la sua estrema brutalità- ma anche e soprattutto una riflessione su come tutti noi a modo nostro potremmo affrontare eventi catastrofici senza rimanere inermi a guardare.

Dal 21 dicembre nelle sale.

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