Made In Dreams: intervista a Valentina Signorelli e Cecilia Zoppelletto

Made In Dreams, intervista

Domani, 6 giugno, sarà presentato al Cinema delle Provincie di Roma Made In Dream – L’Italiano che ha costruito l’America (trailer),documentario diretto da Valentina Signorelli e Cecilia Zoppelletto, prodotto da Daitona e Preston Witman Productions. Il film racconta la storia di Amadeo Peter Giannini, uomo che portò avanti i principi di finanza etica, lottando per combattere usura e speculazione. Figlio di migranti italiani a San Francisco, fu il fondatore di Bank of America, nonché figura cardine che ha rivoluzionato il mondo della finanza elargendo prestiti etici a comunità marginalizzate, contribuendo anche alla nascita di Hollywood. Il documentario alterna materiale d’archivio inedito, interviste e riprese in loco, ripercorrendo le tappe fondamentali della vita del banchiere che si intrecciano con quelle della storia americana (e non solo). A tal proposito, abbiamo avuto il piacere di intervistare le due registe e produttrici del progetto.

Che tipo di cinema vi piace e a quale vi ispirate?

Cecilia Zoppelletto: È molto difficile rispondere per me. Mi piace tutto il cinema. Ho guardato tantissimo i film hollywoodiani/commerciali nella mia infanzia. Western, melodrammi. Quello per il cinema è più un amore nostalgico che una passione sui film d’autore. È per questo che mi ha colpito tantissimo la storia di Giannino, senza di lui molte delle cose che amo non ci sarebbero.

Valentina Signorelli: Io sono una grandissima amante del cinema muto. Ne è arrivato pochissimo dal punto di vista della conservazione. Mi piacciono i registi che riescono ad usare sapientemente le immagini per comunicare. Mi piace questo tipo di espressività. Penso che, in questo senso, Lina Wertmüller sia una cineasta che sia io che Cecilia amiamo molto. Riguardo ai documentari voglio citare Roberto Minervini. Quando è uscito Luisiana mi sono appassionata molto al suo modo di fare regia. Apprezzo l’idea di usare il documentario per scoprire cose che non si conoscono, di tornare all’essenza del genere documentario, all’essenza del cinema. E di conseguenza non posso che apprezzare quelle opere che ti permettono, dopo che le hai viste, di passare attraverso una grande trasformazione.

Come è nata la vostra collaborazione artistica e produttiva?

VS: Io e Cecilia ci conosciamo da oltre dieci anni. Entrambe abbiamo conseguito un dottorato di ricerca in film all’università di Westminster a Londra. Inoltre, abbiamo organizzato insieme una retrospettiva su Lina Wetmuller all’università. Entrambe gestiamo una casa di produzione: Daitona io e Preston Witman Productions Cecilia. Il progetto di Made In Dreams è nato a marzo 2020, durante il primo lockdown. Cecilia ha visto un video di A.P. Giannini e me lo ha girato. Poi io mi sono messa a cercare un libro che raccontasse la sua biografia. Entrambe abbiamo capito che era la storia giusta da affrontare.

CZ: Non potendo incontrarci, la parte di sviluppo è stata sicuramente la più particolare e interessante. Grazie a questo progetto abbiamo cominciato a guardare l’America in modo romantico, abbiamo avuto la possibilità di girarla on the road, di fare le nostre riprese. Un bellissimo viaggio di scoperta e di persone. Non credevamo di incontrare certi “personaggi” che hanno illuminato il film.

A tal proposito, avete qualche aneddoto da raccontare?

VS: Tutte le interviste che danno colore al film, cioè quelle che raccontano la comunità italo-americana, sono state fatte da persone che si sono “imbucate”. Il nostro piano di lavorazione si è praticamente trasformato in corso. Siamo finite a girare nelle campagne di Sacramento perché ci hanno indirizzate lì. È interessante constatare come dopo ottanta anni dalla morte di Giannini ci sono ancora persone che riconoscono che la propria esistenza in America la devono anche al prestito che cento anni prima i nonni, bisnonni hanno avuto.

Avete affermato che «Gli archivi sono i veri protagonisti del film». Quanto è durato il processo di reperimento dei materiali che hanno dato sostanza al film?

CZ: Il processo di ricerca è durato praticamente dall’inizio dello sviluppo a quando abbiamo chiuso il film, quindi circa tre anni e mezzo. Abbiamo fatto varie “prove” per capire cosa funzionasse meglio. Bisogna sapersi destreggiare tra due tipi di archivio: quello che documenta e quello che dà il senso più emotivo al film. Il connubio tra questi due deve funzionare. Volevamo che il nostro documentario fosse sia un viaggio poetico sia un prodotto informativo riguardo la costruzione di una banca.

Tra gli archivi visitati ce ne sono stati alcuni che vi sono rimasti impressi?

VS: Tra i più interessanti sicuramente la Margaret Herrick Library e poi gli archivi delle famiglie italo-americane Tutti i materiali su Bank of Italy arrivano da qui.

CZ: L’archivio più assurdo che abbiamo visitato è stato il Bison Archive di Marc Wanamaker. Lui è un figlio del cinema, un uomo di grande cultura, nato e cresciuto a Hollywood. Ha venduto molti dei suoi archivi all’Academy. Aveva tutto, è un archivio pazzesco.

VS: Marc Wanamaker non ha un archivio digitale. La sua casa è un archivio gigante, basti pensare che possiede circa 220 mila fotografie. Non ha un registro, l’archivio è nella sua testa. Ha un’intera litografia di Giannini. Sono materiali impossibili da reperire online. Materiali che non sono mai comparsi nei film. Quello che abbiamo notato, e che ci ha sorprese, è che non c’è molto interesse da parte della gente del posto in merito agli archivi. Per esempio, ci saremmo aspettate che per visitare quello dell’Academy ci fossero un sacco di richieste. Invece così non è così. Nei documentari mainstream di oggi si tende ad utilizzare il materiale ricostruito digitalmente piuttosto che quello originale, c’è meno attenzione in questo senso.

Come è stato per voi dividervi tra il ruolo di produttrici e registe del film?

VS: Abbiamo avuto una grande squadra al nostro fianco. Per quello che riguarda me e Daitona era importante capire quali ricorse avevamo negli Stati Unite e che disegno produttivo potevamo creare intorno a queste. Anche perché la distanza era considerevole. E poi un altro tassello è stato capire come proteggere la troupe, soprattutto per quanto riguardava il Covid. Ci dividevamo tra Roma, Londra e Kinshasa, oltre che ovviamente gli Stati Uniti. Siamo tornati a casa con molto più materiale di quello che avevamo programmato. Cecilia ha avuto la brillante idea di scegliere un narratore esterno, che appunto è Giorgio Cantarini, proprio per riuscire a condensare meglio questo materiale in eccesso. In sostanza, a mio parere, si può pensare di fare regia senza aver ben presente la produzione che c’è dietro.

CZ: Io ho avuto un percorso lavorativo diverso rispetto a quello di Valentina. Ho iniziato come producer in televisione a Londra. Non riesco a dividere produzione e regia, sono completamente l’una dentro l’altra. Non mi preoccupava la co-regia perché comunque io e Valentina avevamo già lavorato insieme per la creazione di una retrospettiva, anche come docenti. Infatti, è andata benissimo.

VS: Cecilia arriva da tanti anni di diretta televisiva; quindi, è molto più brava a risolvere gli imprevisti rispetto a me. Gli americani sono molto abituati alla macchina da presa, ma abbiamo avuto a che fare con gente ultranovantenne. Siamo arrivate a casa di persone all’ultimo secondo. Quindi gli imprevisti ce ne sono stati, e molti. Ho imparato molto da Cecilia che, da questo punto di vista, sa gestire molte situazioni. Anche perché il limite di fare regia e produzione insieme è che devi stare concentrata su molte cose. Cecilia ha la capacità di portare a casa la scena, nonostante tutti gli impedimenti.

Tra gli altri hanno lavorato al progetto: Lorenzo Giovenga (produttore), Flavia Enchelli (organizzatrice generale), Giorgia Cori (segretaria di produzione), Luigi Parentela (segretario di produzione), Gualtiero Titta (compositore), Francesco Alino Guerra (montatore), Leonardo Zullo (assistente al montaggio), Mattia Palla (assistente editoriale), Raffaele Rossi (assistente editoriale), Leonardo Spadini (assistente editoriale), Tommaso Ricci (vfx), Matteo Russo (operatore mdp e operatore drone) e Matteo Hrvatin (montatore aggiunto).

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