Lightyear, la recensione: Buzz Lightyear rapporto missione, anno cosmico non ne ho idea

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Buzz Lightyear rapporto missione, anno cosmico non ne ho idea. Controllo? Perso. Obiettivo? Mancato. Missione fallita. E invece no. Lightyear (trailer), il nuovo film della Pixar (finalmente al cinema) scritto e diretto da Angus MacLane, prende bene la mira per eliminare il mito del successo. Quest’ultimo si è infatti infiltrato come una sanguisuga nella nostra cultura e ha risucchiato avidamente la capacità di affrontare il fallimento. In un mondo dove chi ce la fa da solo viene premiato e chi chiede aiuto deriso, Lightyear apre uno spiraglio di luce non indifferente.

Buzz (Chris Evans in America e Alberto Boubakar Malanchino in Italia) nel primo plot ha un unico leitmotiv: completare la missione. Deve salvare i passeggeri della navicella, detta anche rapa per via della forma, e deve farlo da solo. Buzz lavora con l’unico modus operandi che conosce: pensa, agisce e non chiede aiuto. Ma è proprio questa abitudine ostinata che porta equipaggio e passeggeri a rimanere naufraghi su un pianeta ostile. Per anni lo space-ranger cerca di riparare al danno provando a stabilizzare l’iper-velocità per riportare tutti a casa. Ogni volta che sale sulla navicella, però, anziché passare 4 minuti passano 4 anni. È il paradosso temporale, la relatività generale di Einstein. Più vai veloce e più gli spazi diventano brevi. O come dice Buzz: «più vado veloce, e più sto nel futuro».

Nel frattempo però sono passati 62 anni, e Alisha Hawthorne (Uzo Aduba in America ed Esther Elisha in Italia), collega e migliore amica di Buzz che lo ha supportato lungo tutte le sue missioni, non c’è più. Alisha, nonostante le difficoltà date dalla situazione, ha vissuto una vita piena, incontrando l’amore, avendo un figlio, nipoti, e come ultimo gesto ha lasciato a Buzz un robot-gatto, pronto ad aiutarlo e a supportarlo al suo posto. Sox (Peter Sohn in America e Ludovico Tersigni in Italia) è adorabile, ironico, comico e intelligente (un R2D2 moderno). Sarà lui infatti a trovare nell’arco degli anni la formula per poter stabilizzare la velocità della luce.

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Buzz durante le varie vicissitudini si imbatte in tre reclute (tra cui la nipote di Alisha, Izzy, Keke Palmer In America e Rossa Caputo in Italia) da cui impara il valore della cooperazione e dell’amicizia. Quest’incontro è fondamentale per la crescita del personaggio. Buzz comprende infatti che il suo vero desiderio non è quello di completare la missione, fallita ormai più e più volte, ma quello di trovare una famiglia e non dover più essere solo. Importante ai fini della sua crescita personale è anche l’incontro con il Buzz del futuro. Un personaggio incastonato nell’ideologia del mito dell’eroe, che un po’ come Thanos vuole schioccare le dita per rimettere le cose in ordine senza badare alla distruzione che questo causerà.

Il confronto tra i due Buzz mette ancora più in luce la problematica ideologia passata e l’auspicabile alternativa percorribile. Nonostante un secondo atto abbastanza caotico, Lightyear riesce nel suo intento. Sentirsi fallibili è normale, perdonare e perdonarsi è possibile e chiedere aiuto non è una vergogna, bensì una forza. Un plauso speciale va poi riservato ai dipendenti della Disney che si sono battuti per tenere la scena del bacio tra Alisha e sua moglie. Un gesto che si spera possa avere una valenza per tutti coloro che non sono stati educati a guardare all’amore come qualcosa di universale, che non può conoscere barriere.

Lightyear uscirà nelle sale il 15 giugno.

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