La Tana, la recensione: vitalità che sboccia nel dolore

La Tana di Beatrice Baldacci

 «La tana è un luogo sicuro ma angusto, a volte talmente angusto da essere inaccessibile agli altri». La tana è una casa in campagna, la tana è un luogo interiore. Riusciranno le pareti di questo rifugio, costruito con anni e anni di dolore, a tenere lontano il desiderio di amore?

Giulio (Lorenzo Aloi) e Lia (Irene Vetere) si incontrano per caso: lui è un diciottenne sensibile e genuino, lei una ragazza schiva dallo sguardo misterioso. Lentamente imparano a conoscersi, a capirsi, ad amarsi. Per lui l’amore è una scoperta, per lei una condanna. Hanno modi di amare diversi, ma egualmente intensi. Il sesso, la definizione della propria identità fanno da sfondo ad una storia di dolore, dove, però, anche tematiche come la malattia e la sofferenza, sono rese con sorprendente vitalità. La Tana (trailer), vincitore dell’HPFA Prize alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, è un film scritto (in collaborazione con Edoardo Puma) e diretto da Beatrice Baldacci.

La narrazione si sposta tra due punti di vista. Nella parte iniziale guardiamo Lia con gli occhi di Giulio e in quella centrale assistiamo ad un’inversione di focus: gli occhi di Lia diventano i nostri. Lia, con la sua forte personalità, con la sofferenza che trasuda da ogni sguardo, da ogni gesto, è il perno intorno al quale ruota il film, l’animale ferito che scava continuamente la propria tana dentro la quale si nasconde. Gestire un personaggio che si fa portatore di un vissuto così pregno non è facile, ed è probabilmente a causa del tentativo di arricchire la sua caratterizzazione che la storia scivola in dinamiche un po‘ forzate. A tratti si assiste ad espedienti messi in campo per restituire pathos, un po’ vani al fine della storia, la quale, sicuramente, trova la sua forza nel silenzio.

La Tana film

Il silenzio è un elemento essenziale de La Tana. É un silenzio che inquieta, un silenzio raro, un silenzio spesso coraggioso. Dialoghi ridotti al minimo, lunghe inquadrature che catturano singole azioni, particolare attenzione agli sguardi, Baldacci gioca per sottrazione, dimostrando uno spiccato interesse per l’interiorità dei suoi personaggi. Il silenzio alimenta costantemente quelli che sono gli enigmi emotivi di Lia e Giulio e, nei momenti di esplosione emotiva, la colonna sonora riflette le loro gioie e i loro turbamenti.

Ne La Tana viene fuori, a detta della regista, anche una parte del suo vissuto personale. Che il film sia un tentativo di uscire fuori dalla propria tana, che sia un modo per superare parte del dolore, quel che conta è che sicuramente si tratta di un esperimento ben riuscito. La personalità artistica della giovane regista viene fuori delicatamente e prepotentemente allo stesso tempo. Nel modo in cui porta sullo schermo il corpo nudo, senza censura, nelle inquadrature che utilizza per risaltare i suoi personaggi, nelle canzoni che arricchiscono la narrazione, nella scelta di restituire gli ambienti, la vitalità della natura, con uno stile documentaristico.

Un’opera che scava nei sentimenti umani che, con la voce (o meglio il silenzio) dei due protagonisti è in grado di parlare di vari tipi di sofferenza. E alla fine quello che rimane è una tana vuota. Il desiderio di vita è troppo forte per continuare a nascondersi.

Al cinema dal 28 aprile.

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