Imaginary, la recensione: un altro buco nell’acqua per la Blumhouse

Imaginary, la recensione del nuovo film horror prodotto dalla Blumhouse e diretto da Jeff Wadlow

Quando una formula si rivela vincente è difficile che la si cambi. Lo sanno bene i produttori di Megan e Five Nights at Freddy’s, ma in generale la Blumhouse, che può vantarsi di rientrare fra i pochi a non aver minimamente accusato un qualche calo di entrate dall’avvento della pandemia. Infatti, nonostante il recente insuccesso di Night Swim, gli horror a basso costo prodotti da Jason Blum ed i suoi colleghi si rivelano quasi sempre dei discreti successi (mai nulla di troppo eclatante, fatta eccezione per i due titoli citati poco prima). Non sorprende, quindi, la scelta di continuare a seguire questa strada.

Imaginary è un film diretto da Jeff Wadlow (Obbligo o verità) che, come per i due casi precedenti, ruota intorno a quello che apparentemente sembrerebbe essere un nuovo pupazzo assassino, in questo caso un orsacchiotto di peluche chiamato Teddy. Apparentemente, perché in realtà questo film si lega a discorsi riguardanti l’immaginazione di bambini e adulti, riportando in vita il concetto dell’amico immaginario d’infanzia che col tempo si rivela essere non poi così tanto amichevole.

Concettualmente Imaginary poteva essere anche interessante. Si parla di una famiglia problematica, di malattia mentale, della difficoltà dell’accettazione dell’ingresso di una nuova figura genitoriale, del rapporto difficile con la propria infanzia. Tutti concetti a malapena introdotti e mai davvero affrontati.

Teddy, dal canto suo, non riesce ad affermarsi come icona: non è interessante, simpatico né tantomeno spaventoso. Non è visivamente presente come si potrebbe credere e nella semplicità (se non universale banalità) del suo aspetto non rimane minimamente impresso a chi guarda. Nemmeno i protagonisti del film godono di una particolare simpatia, anzi sembrano tutti inspiegabilmente troppo cattivi, senza un vero e proprio motivo.

Forse, il problema maggiore sta nel fatto che questo film sembra indeciso sul suo genere di riferimento, con il risultato che anche lo spettatore si ritrova confuso su quale approccio adottare durante la visione.  A differenza di Five Nights at Freddy’s, Imaginary decide di prendersi esageratamente sul serio, ignorando ogni potenziale aspetto comico e limitandosi a puntare su alcuni momenti un po’ più grotteschi, quando era chiaro che, vista la trama generale, sarebbe stato più apprezzabile proporre una sorta di commedia horror. Qualcuno potrà anche ridere durante la visione (in particolar modo durante il terzo atto, quando il film decide di abbracciare un’improvvisa componente trash) ma saranno risate non volontariamente indotte dalla pellicola. In fondo, la storia del cinema è stracolma di horror “di serie B” basati su delle minacce improbabili (The Gingerdead Man aveva come protagonista un omino di pan di zenzero posseduto dall’anima di un serial killer), ma sono quasi tutti film che a modo loro riescono a funzionare proprio perché puntano sul tono giusto.

Dopo Night Swim, la Blumhouse compie un altro mezzo passo falso. Certo, come discusso ad inizio articolo, solitamente questa formula tende a ripagare, talvolta anche con veri e propri successi di pubblico. Tuttavia, è improbabile che Teddy si unisca alle altre icone generate da questa casa di produzione. Più plausibile che si unisca ai pochi flop dimenticati del passato (per lo meno in termini percettivi), limitandosi a rappresentare un film d’intermezzo prima del rilascio di titoli ben più attesi.

Nelle sale dal 14 marzo.

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