Quello presentato da Gabriele Salvatores negli ultimi giorni della Festa del Cinema di Roma non è semplicemente un docufilm ma è il ricordo di quando tutto è iniziato, di quando questo nemico invisibile, che stiamo ancora combattendo ferocemente, è comparso. In Fuori era primavera (trailer) le immagini di un pipistrello che vola, dei mercati di Wuhan, di una realtà lontana che invece, molto presto, è diventata così vicina, troppo vicina. Dopo ben sette mesi dall’inizio di tutto, delle prime zone rosse e poi del lockdown che tanto ha cambiato le nostre vite, lo spettro di una nuova chiusura totale ritorna a farsi vedere e sentire.
L’opera di Salvatores non arriva dunque in un momento qualsiasi, arriva a ricordarci che possiamo ritornare a quei momenti che non vorremmo più rivivere. Dopo un’estate dove la guardia si è abbassata e dove c’era l’illusione che tutto potesse essere sparito, riemerge la paura e lo spettatore ritorna con la mente a pensare alla propria quarantena, ai momenti di dolore, paura e sconforto vissuti nelle quattro mura del proprio appartamento. E questo non lo fa sapendo che quello che sta guardando sia una storia di finzione che cerca di ripercorrere quello che pensavamo di esserci lasciati alle spalle ma lo fa ascoltando e guardando frammenti di vita di persone che alla fine di marzo hanno risposto all’appello del regista.
Dai propri profili social, infatti, Gabriele Salvatores aveva espresso l’intenzione di voler girare un film che, come materiale principale, avesse dei video girati dai suoi follower che documentassero la vita privata, lavorativa, scolastica vissuta durante il periodo della chiusura. Un progetto originale con l’obiettivo di arrivare dritto al cuore e alla coscienza di chi poi lo avrebbe guardato.
La visione di Fuori era primavera non è certamente un’esperienza facile: i sorrisi strappati dai bambini che giocano in giro per casa fingendosi soldati che combattono il virus si alternano al rumore straziante dei respiratori delle terapie intensive. La gioia, più o meno grande, di festeggiare una laurea o un compleanno tramite tablet o telefono si alterna alla profonda tristezza di quei parenti, figli, genitori, congiunti che sono stati costretti a vedere o sentire per l’ultima volta i propri cari sempre tramite tablet o smartphone.
Il presidente Conte che annuncia la chiusura, il bollettino delle 18, i camion che trasportano le salme ai cimiteri, il personale medico col volto segnato dalla mascherina e con le tute protettive sono immagini che chi sta vivendo questo terribile momento non si dimenticherà o chi, come la signora più anziana intervistata, non avrebbe mai pensato di affrontare. Un mix di emozioni che turbano il cuore, parole e immagini che non riguardano solo chi è sullo schermo ma che sono di tutti e che ogni spettatore potrebbe dunque fare proprie.
Finito il viaggio, si riaccendono le luci. Ci si guarda intorno, con gli occhi lucidi e le mascherine che coprono bocca e naso, si esce in fila ad un metro di distanza ciascuno e ci si igienizzano le mani prima di asciugarsi gli occhi bagnati dalla commozione. Usciti dalla sala, si rimane in silenzio a ripensare a quello che si è visto, ci si sente in bilico di fronte al futuro e si comprende appieno il messaggio dell’opera di Salvatores: fare di tutto per evitare che succeda di nuovo.
Glenda Picaro è la cantautrice che si vede e si sente nel film.
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