Il 20 settembre è uscita la seconda parte della serie Disincanto (qui il trailer) firmata Matt Groening e prodotta in esclusiva per Netflix .
La soluzione del cliffhanger con cui si è conclusa la prima parte di Disincanto è sicuramente stata la motivazione principale della trepidante attesa dei fan, che, già nei primi due nuovi episodi, hanno avuto modo di trovare risposta alle loro teorie. Ovviamente non si può spoilerare nulla, ma questo non preclude la possibilità di fare qualche appunto sulla struttura narrativa di questa nuova stagione.
Se la parte uscita l’anno scorso ci è sembrata servisse a spianare la strada verso quello che credevamo dovesse essere il vero corpus della storia, così non è stato. Questa sensazione di anticipazione in funzione della stagione successiva si ripete ancora questa volta, in funzione di una ipotetica, ma necessaria, terza stagione che crediamo verrà annunciata a breve dai piani alti di Netflix. Intendiamoci, è ovvio che ci sia la necessità di lasciare degli interrogativi aperti per il proseguimento della fiaba, ma forse per delle stagioni brevi da solo dieci episodi l’una le strade aperte in questo caso potrebbero essere eccessive.
Prendiamo quella che per ora è la prima metà di questo prodotto audiovisivo, datata 2018. Sono stati presentati i personaggi principali, gli episodi erano prevalentemente fini a sé stessi con un leggero filo conduttore che si è andato a delineare maggiormente verso la fine, per poter così costruire quella che sembrava essere una vera e propria introduzione per un capitolo più complesso e narrativamente più delineato. In generale è stata una serie molto piacevole, con qualche frecciatina alla religione e ad una società maschilista, che non si è fatta certo mancare momenti di aperta riflessione. Una fiaba medievale raccontata in modo decisamente postmoderno, contemporaneo e filo-femminista.
Con l’arrivo della seconda parte la storia prosegue ma lo fa appunto solamente per i primi due episodi, dopodiché tutto si arresta e sembra quasi ci sia una regressione della trama, un ritorno ad una situazione di equilibrio troppo affrettato e semplificato. Tutto questo ovviamente non preclude la possibilità di godersi la visione con piacere e facendosi molte risate, infatti gli episodi seguenti continuano ad essere irriverenti e critici, perfettamente coerenti con lo stile a cui oramai siamo stati abituati alla serie stessa. Esattamente in maniera speculare alla prima parte, però, tutto cambia con gli ultimi due capitoli, nei quali viene messa altra carne al fuoco, ottenendo solamente come risultato quello di deviare l’attenzione dello spettatore verso una nuova direzione prima di fare improvvisamente un grande passo indietro recuperando alcuni elementi che hanno contribuito a creare interesse nella prima sezione, chiudendo ancora con un nuovo cliffhanger, molto simile a quello di un anno fa.
L’impressione è che Disincanto voglia essere sfruttato commercialmente il più possibile, anche a costo di allungarne la storia. Il risultato che ne segue è un misto tra classica serie Netflix, con un numero ridotto di episodi, unita a classica serie Groeninghiana, con episodi di breve durata e autoconclusivi tra loro. Questo miscuglio sembra funzionare solo in parte, poiché, per quanto ogni singolo episodio risulti piacevole, l’impressione resta quella di una serie troppo breve per essere composta da degli episodi di una durata corrispondente a quella del canone televisivo pomeridiano.
Non resta nulla da fare se non aspettare una nuova stagione per cercare di capire se questa sarà una serie che prima o poi si concluderà, o se Netflix ha invece optato per cercare di creare un nuovo prodotto destinato a ripresentarsi periodicamente sulla piattaforma per almeno altri dieci anni.