Snowpiercer, la recensione della serie su Netflix

Snowpiercer

Promossa come la serie del Premio Oscar Bong Joon-ho (The Host), Snowpiercer (qui il trailer) è giunta, per ora, alla sua conclusione, tra diversi consensi, ma anche molti dissapori. Dissapori generati in larga scala dalla disattesa delle aspettative. Se buona parte del pubblico, in seguito al successo di Parasite, confidava in un’opera estremamente autoriale e in linea con la stilistica del regista/sceneggiatore della Corea del Sud, già dai primissimi episodi l’impianto di certezze viene a crollare, davanti a uno stile più dark/pop e meno umanista. Dissapori legati anche a un impianto che forse la serialità televisiva riesce ad amalgamare a tratti sì eccezionalmente, ma anche in maniera molto impacciata. Un prodotto, dunque, che rischia di lasciare su più fronti lo spettatore barcollante e allo sbaraglio, ma che, in realtà, se letto con la giusta lente, può risultare interessante. Facciamo allora un leggero passo indietro.

La serie, distribuita in Italia da Netflix, viene annunciata un anno fa con un primo trailer. Il collegamento con l’omonimo film del 2013 è immediato e anche volutamente ideato già dalla nascita del progetto stesso nel 2015. Ispirandosi sempre alla graphic novel post-apocalittica di Jacques Lob e Jean-Marc Rochette La morte bianca, la premessa distopica del film con protagonista Chris Evans (recentemente protagonista della serie Apple Tv +, Defending Jacob) viene mantenuta. Tuttavia, si va a diluire il classico correlativo oggettivo tipico di diverse opere di Bong Joon-ho, che della serie cura solo la produzione esecutiva e non anche la regia e la sceneggiatura.

Snowpiercer

Se l’autore sud coreano ha posto spesso come elemento centrale “l’insetto”, usandolo in diversi modi come paragone degli “ultimi”, nella serie si perde la potenza di questa metafora. Non solo a livello visivo è quasi inesistente, ma l’unica volta in cui si fa riferimento alle barrette composte di scarafaggi, i personaggi non presentano lo stesso sconvolgimento emotivo di quelli che popolano film come lo stesso Snowpiercer o Parasite, che vivono con estremo disagio qualsiasi associazione con gli insetti. Inoltre, il tema degli “ultimi” perde potenza. Infatti, nella serie non ci si concentra tanto sulla risalita dello Snowpiercer da parte di coloro che appartengono alla coda del treno, ma sui segreti dell’elité, che occupano la maggioranza del minutaggio e degli episodi.

Questo aspetto, che apre anche a una vena più dark e pop, enfatizzata anche da un forte cambio e ampliamento della palette di colori rispetto al film, dove invece predominavano esclusivamente i colori ghiacciati, fa perciò deragliare l’intera trama della serie verso altri orizzonti. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che di per sé il progetto seriale è stato fin dall’inizio concepito per la durata di tre stagioni e dunque ha dovuto trarre spunto non solo da La morte bianca, ma dall’intero albo dedicato allo Snowpiercer, che comprende, attualmente, cinque volumi.

Il protagonista primario della serie è Layton (interpretato da Daveed Diggs, attore cinematografico e teatrale, compositore e insegnante). Oltre ad essere la voce che introduce la vicenda in un interessante intreccio tra la grafica fumettistica e il live action, è anche il tramite tra la trama incentrata sulla disuguaglianza sociale e quella più “politica-poliziottesca”. Layton, infatti, vive nel fondo, ovvero fa parte di quella categoria di persone che, pur non avendo le possibilità economiche per acquistare il biglietto, sono riuscite a entrare nel treno. Queste persone sono state lasciate ai margini e non possono usufruire dei beni a cui hanno accesso, in misure differenti, i passeggeri di terza, seconda e prima classe.

Snowpiercer

Layton era un detective e qui entra il suo legame con la seconda trama, di cui però è protagonista il personaggio interpretato da Jennifer Connelly (American Pastoral), ovvero Melanie Cavill, responsabile dell’accoglienza. Layton, incaricato da Melanie Cavill, ha accesso, accompagnato dai frenatori (abitanti della terza classe), a tutto il treno al fine di indagare su un omicidio. Quest’indagine, nel corso degli episodi, dà vita a ulteriori indagini, scoperchiando un meccanismo politico pieno di segreti, ossessioni e violenze, caratteristiche dell’essere umano e amplificate da un sistema chiuso e perpetuo.

Viene lasciato spazio a una moltitudine di intrecci che trovano la loro giusta enfasi nell’utilizzo del cliffhanger, presente anche nell’ultima puntata al fine di lanciare la seconda stagione, di cui è già disponibile il trailer. Tuttavia, sebbene da un lato la struttura a livello seriale si sposa perfettamente con ciò che la serie racconta, d’altra parte sono il numero di puntate, probabilmente, a non ottenere lo stesso riscontro. Infatti, verso la fine della stagione si ha nettamente la sensazione di un acceleramento che invece di portare a una reale risoluzione fa ampiamente utilizzo del deus ex machina.

Snowpiercer è dunque una serie con diversi aspetti positivi, che però non va vista né come opera di Bong-Joon-ho, né in relazione al film stesso, di cui, in ogni caso costituirebbe un prequel. Snowpiercer va goduta come un complesso seriale di cui bisogna costruire i tasselli puntata per puntata, ma anche stagione per stagione. È come una cena, di cui per ora si è potuto pregustare solo l’antipasto e bisogna dunque ancora aspettare la portata principale e il dolce, ma di sicuro le premesse non sembrano tempestose.

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