Cafarnao – Caos e miracoli, il peso di un sistema

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“Sei stato arrestato e stai scontando la pena. Sai il perché?” Chiede il giudice al piccolo Zain. “Perché ho pugnalato un figlio di puttana”. Così Cafarnao – Caos e miracoli rifiuta da subito di seguire il pietismo. Pur avendo una trama che si presterebbe facilmente ad un simile approccio, ovvero la storia di Zain, 12enne libanese condannato a 5 anni di carcere che fa causa ai suoi genitori per averlo messo al mondo. Non cerca di costruire un senso di colpa nello spettatore occidentale che osserva una realtà di degrado. Senso di colpa falso ed ipocrita, che diventa attraverso le lacrime un sollevamento di responsabilità personale: mi commuovo di fronte alla sofferenza di chi è meno fortunato di me e mi crogiolo nella mia falsa umanità. Basta uscire dalla sala, però, per farla sfumare di nuovo in una realtà nella quale poco di umano è rimasto. Come si rivolge, allora, il film allo spettatore occidentale?

Il filosofo Slavoj Žižek, nel suo nuovo libro Come un ladro in pieno giorno, suggerisce che il mondo sia organizzato come una nuova Sparta, secondo tre classi: il Primo Mondo, ovvero gli USA come potere militare-politico-ideologico; il Secondo Mondo, ovvero l’Europa e alcune regioni di Asia e Sud America come regioni industrial-manifatturiere; il Terzo Mondo, i nuovi iloti, gli esclusi. Il mondo mostrato in Cafarnao è proprio quello dei reietti che vivono nella discarica del Primo e del Secondo Mondo, abitanti di una realtà che ne è la diretta emanazione. Ciò non vuol dire che Primo e Secondo Mondo non siano presenti nel film. Si palesano, però, in forme diverse.

Il Secondo Mondo appare in maniera più concreta, ma anche in tutta la sua ipocrisia: i missionari che nella prigione cantano e ballano, col fine di conoscere i detenuti e tirarli su di morale, come se una risata potesse cancellare una vita di dolore; i volontari degli aiuti umanitari che aiutano solo i profughi siriani, perché c’è sofferenza e sofferenza, fame e fame; le patatine fritte, ovvero il cibo spazzatura di cui Zain e Yonas si nutrono in quanto unico prodotto che si possono permettere. Il Primo Mondo, invece, appare come immaginario degradato, come un eco: un pupazzo senza un orecchio e un murales sporco di Topolino; Cockroach-Man, ovvero un vecchio che si guadagna da vivere indossando un costume uguale a quello di Spider-Man, ma con uno scarafaggio al posto del ragno; un cartone animato visto attraverso un vetro sporco di una finestrella di una baracca.

Così, Cafarnao – Caos e miracoli si rivolge allo spettatore occidentale palesando l’idea che il mondo di sofferenza e degrado che vediamo è una produzione diretta del nostro. Non c’è un colpevole perché non viene rappresentata una colpa, ma la condensazione delle conseguenze di un sistema in un mondo. E si sa che un sistema diluisce la colpa nella massa che ne fa parte, facendola sparire. Allora, più che cercare un colpevole si dovrebbe cercare la forza di cambiare il sistema che rende possibile l’esistenza di un mondo del genere. Un mondo in cui un bambino non può giocare con uno skateboard, ma deve trasformarlo in strumento di sopravvivenza.

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