Caracas, la recensione: Napoli e scrittura creativa come cure e vortici infernali

Caracas recensione film di Marco D'Amore DassCinemag

Sembra un meteorite Caracas, mentre attraversa l’ultimo strato della troposfera e si schianta sulla superficie terrestre. Il paracadute non si è aperto. Anche i suoi compagni di volo sono atterrati e uno di loro urla a squarciagola il suo nome. Ecco che Caracas si risolleva a fatica, sfila il casco protettivo dal capo e, con il naso sanguinante, ci rivolge uno sguardo sospettoso e accogliente. Ci sta domandando se anche noi spettatori siamo pronti a buttarci e, quindi, a precipitare con rapidità irrefrenabile accogliendo l’imprevedibilità della caduta. Un rallentamento finale ci permetterà di prepararci al colpo ed attutirlo, oppure, sino ad un istante prima di toccare terra, cercheremo salvezza in una preghiera e nella speranza di un miracolo?

La scena iniziale di Caracas (trailer) è metafora dell’intero film di Marco D’Amore, il camorrista Ciro Di Marzio nella serie Gomorra (2014-2021), alla terza regia cinematografica. Dopo anni di lontananza, l’affermato scrittore Giordano Fonte (Toni Servillo) ritorna a Napoli su invito della casa editrice di sua fondazione. Giordano scivola, così, in una dolorosa voragine. Lo fa perdendosi per gli intricati vicoli della città natale e lasciandosi risucchiare dal labirintico nuovo lavoro letterario a cui si dedica nella sua stanza d’albergo. Inizialmente disilluso nel potere edificante della scrittura, Giordano giunge presto a servirsene come strumento d’interpretazione del suo passato e della complessità di Napoli.

Napoli Ferrovia, questo il titolo della cronaca-diario di Ermanno Rea da cui gli sceneggiatori D’Amore e Francesco Ghiaccio hanno tratto il film. Come una stazione ferroviaria, Napoli è crocevia dei più svariati gruppi sociali, ideologici, etnici e religiosi. Caracas (D’Amore) ne è, dunque, il cittadino simbolo. Dapprima militante per l’estrema destra, decide poi di convertirsi all’Islam. È spinto dal desiderio di trovare, per dirla con le sue parole, «la luce», unica speranza di sopravvivenza in una caduta inarrestabile. Ma Caracas esiste davvero? È il flusso travolgente di Napoli a condurre Giordano da lui, oppure è la mente letteraria di Giordano a collocarlo nella città iperbolicamente tetra e umida costruita dallo sguardo del direttore della fotografia Stefano Meloni? Caracas è per Giordano la sola occasione di redenzione. Caracas è tutta Napoli. Nella sua figura è condensato il fanatismo insensato e incoerente da cui da giovane, per sopravvivere, Giordano è dovuto fuggire. 

Città e individuo si intrecciano e confondono in un’unica entità. Per mezzo di lenti e circolari movimenti di macchina, D’Amore ci accompagna negli imprevedibili e frequenti passaggi tra luogo fisico e luogo mentale. Il confine che li separa è sbiadito e noi smettiamo presto di chiederci cosa sia realtà e cosa illusione. Stringiamo un tacito patto con D’Amore e accettiamo che Napoli sia una dualità irrisolvibile.

Dal 29 febbraio al cinema.

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