#Venezia76: Ad Astra, la recensione

#Venezia76: Ad Astra, la recensione

James Gray torna a Venezia con Ad Astra (trailer), film di ambientazione spaziale che rende omaggio nella sceneggiatura al cinema della New Hollywood e visivamente ai grandi classici americani. Inevitabilmente, quando una produzione americana sceglie di raccontare un viaggio dell’eroe nello spazio e sceglie un realismo immaginario come chiave estetica, il paragone è subito con 2001: A Space Odissey. Il film di fantascienza del 1968 di Stanley Kubrick si pone sul genere un po’ come il monolito fra le scimmie del suo stesso prologo: una sorta di oggetto (filmico) enigmatico, ispirante e perturbante.

James Gray sa di non poter evitare il confronto con Kubrick ma riesce a sostenerlo costruendo un film, seppure legato ai classici del filone, intelligentemente lontano come soluzioni narrative e filosofiche. Gray sceglie una storia nello spazio che non potrebbe essere più intima, riflessiva e minimalista. Pur non rinunciando per un solo istante a sequenze spettacolari ad altissima densità di effetti speciali, l’autore ci dimostra che si può fare un film di genere americano adatto anche al grande pubblico attraverso una scrittura di stampo europea, lasciandoci pensare che lo spirito della New Hollywood ha ancora autori da ispirare e storie da raccontare.

Guardando Ad Astra e seguendo Brad Pitt nel suo viaggio spaziale, ed al tempo stesso interiore, si finisce a pensare a Terrence Malick ed al cinema di Francis Ford Coppola degli anni 60/70. Roy McBride, questo il nome del protagonista, riceve la missione di rintracciare nello spazio suo padre (Tommy Lee Jones) dato per morto da decenni, inziando un viaggio che ricorda tanto “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad quanto l’adattamento di John Milius e Francis Ford Coppola Apocalypse Now. Ogni momento di svolta del racconto è accompagnato da una seduta di psicanalisi automatizzata che ricorda fortemente le scene del confessionale create da George Lucas per il suo lungometraggio di esordio THX 1138 – L’Uomo Che Fuggì dal Futuro.

La capacità di Gray di creare connessioni con il cinema difficile americano non deve però trarre in inganno lo spettatore, il regista infatti riesce anche a regalare momenti di tensione ed una splendida scena di inseguimento lunare che rimanda fortemente anche ad un classico come Stagecoach – Ombre Rosse di John Ford. La visione dello spazio di Gray è immensamente più cinica e razionale di quella di Kubrick o di Nolan e riesce perfino a trovare una via alternativa al realismo di Cuaròn in Gravity.

Ad Astra riesce ad esistere in bilico perfetto fra il film artistico ed il cinema di genere, un curioso ibrido raro ed equilibrato che chi ama la fantascienza non può assolutamente perdersi sul grande schermo.

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