A distanza di quasi sei anni dalla prima de Il penitente al Teatro Eliseo, Luca Barbareschi torna alla regia dell’adattamento del testo di David Mamet, stavolta davanti e dietro la cinepresa. The Penitent – A Rational Man arriva a Venezia nella sezione Fuori Concorso e riesce miracolosamente a schivare le proteste relative al #MeToo, nonostante Barbareschi abbia prodotto e recitato nel film di Polanski The Palace, anch’esso presentato a Venezia, e nonostante le sue dichiarazioni sul privilegio di lavorare col regista. The Penitent è a tutti gli effetti il manifesto delle idee politiche e artistiche di Barbareschi, che con questo film riesce abilmente a vestire i panni del martire, ruolo che non gli è troppo distante se si pensa a tutte le occasioni in cui negli ultimi anni si è dovuto difendere dalle controversie che lo hanno riguardato (si pensi al caso della gestione del Teatro Eliseo).
Il protagonista della storia di Mamet, che viene riportata molto fedelmente nell’adattamento, è uno psichiatra ebreo che a seguito di una strage commessa da uno dei suoi pazienti, un giovane ragazzo omosessuale, si rifiuta di testimoniare al processo e viene dunque tacciato di omofobia da parte della stampa. Egli scoprirà nel corso del film che la sua scelta risponde alle precise norme religiose e morali che ha da poco fatte sue, sarà spinto a metterle in discussione ma se ne sentirà poi inevitabilmente vincolato.
La religione ha un peso fortissimo su tutta la vicenda. È impossibile non pensare a Franz Kafka: la situazione surreale, il processo alla religione ebraica, la fase di ribellione e il senso di colpa innato, tutto sembra ricondurre alle atmosfere oniriche create dallo scrittore. Anche la struttura del film, scandita per grandi macro-sequenze dominate dal dialogo continuo tra due personaggi, ricorda la struttura episodica de Il processo. Lo psichiatra sarà processato da tutti, la sua colpa sovrasta incredibilmente quella del suo paziente omicida e non risiede nelle sue azioni ma nella sua identità.
Barbareschi non poteva trovare un soggetto più autobiografico, non a caso frequenta il testo di Mamet da diversi anni. Eppure il processo di adattamento risulta sorprendentemente sterile e povero: i dialoghi sono ripetitivi e in alcuni casi quasi identici fra loro, la durata delle scene è esagerata, il protagonista sovrasta inutilmente gli altri personaggi. In più le interpretazioni sono quelle di uno spettacolo teatrale, urlate senza motivo e patetiche. Nell’egoistica ossessione per il testo di Mamet e la sua trasformazione in manifesto politico Luca Barbareschi sembra aver completamente perso di vista il processo di adattamento ma soprattutto il mezzo scelto. The Penitent – A Rational Man potrebbe dunque sembrare benissimo una ripresa dal vivo di quella prima al Teatro Eliseo nel 2017, ma il cinema è ben altro.