#FKFF22: Small Fry, la recensione del film di Park Joong-ha

Small Fry recensione film di Park Joong-ha Dasscinemag

Come pesci fuor d’acqua, i personaggi di Small Fry (trailer) hanno dovuto lasciare nelle mani di qualcun altro il controllo del proprio destino. Tre lavoratori del cinema – chi più fortunato, chi meno, chi più arrogante, chi meno – si trovano ai bordi di uno squallido laghetto artificiale nella campagna vicino Seul; ne conseguono litigi, agnizioni mal riuscite e segreti svelati fra i fumi dell’alcol.

Ho-Joon (Kim Ho-won), attore di scarso successo e ormai quarantenne, ha trovato un modo di rifarsi una carriera con il suo canale Youtube, dedicato interamente alla pesca; ha la (s)fortuna d’incontrare il regista Nam (Seunghwan), che ha attratto la nascente star Hee-jin (Leem Chae-young) con intenzioni che chiaramente oltrepassano la lettura del copione del suo prossimo film. Per Ho-Joon, che ha fatto (e fallito) il provino la sera prima proprio per lo stesso film, sarebbe l’occasione perfetta, ma Nam è presuntuoso, falso, geloso delle attenzioni che Hee-jin riserba all’attore; insomma il perfetto rappresentante dell’industria cinematografica nei suoi lati più spiacevoli. Eppure lo stesso Nam è in attesa di un film che veramente lo porti alla ribalta, e le telefonate che Hee-jin riceve dalla sua agente non portano mai buone notizie.

Fra una carpa e l’altra fanno capolino piccoli e grandi segreti, rivelazioni che inevitabilmente escono alla scoperta e causano una catena di frizioni difficili da contenere. Quelle fra i due attori e il regista sono dinamiche minuscole, grandi al massimo quanto i pesciolini allevati nello stagno per pescatori principianti (appunto, i fry), eppure a parte le carpe non ci sono che loro tre al lago, e a due ore di macchina di distanza, nella frenetica Seul, si sta decidendo il loro futuro. Ogni parola s’ingigantisce, merito anche della sceneggiatura abile e serrata, ad opera dello stesso regista Park Joong-ha, di Kim Ho-won e dei tre attori che si muovono con straordinaria scioltezza nel complesso intreccio delle loro dinamiche. Ogni gesto acquista un significato sproporzionato, causando piccole esplosioni che si spengono tanto velocemente quanto si erano accese.

Small fry, restando fedele al suo titolo, non è un film grande; sono piccole la sua durata, le sue proporzioni, la fama dei suoi attori; e forse in virtù di questa modestia funziona benissimo, non annoia mai, si muove agitandosi come un pesce ancora vivo appena catturato all’amo, sorprendendo di continuo nei suoi risvolti di trama e nelle sfaccettature umane che ogni poco rompono la superficie tesa dell’acqua sotto la quale avevano lasciato affogare i loro rancori. Confinandoci come sardine sotto la luce (sempre naturale) di un cielo plumbeo e freddo, senza mai lasciarci toccare i riflettori splendenti di un red carpet né quelli agognati e segreti di un set, Small Fry ci racconta con ironia e sincerità il lavoro del cinema, e cosa vuol dire sopravvivergli nel 2024.

Ti potrebbero piacere anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ho letto la privacy policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali ai sensi del Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) e del D.Lgs. n. 196 del 2003 cosi come novellato dal D.Lgs. n. 101/2018.