Settembre, la recensione: una commedia a metà

Settembre recensione film di Giulia Steigerwalt DassCinemag

«Signora, forse lei di questo scossone aveva bisogno». Potrebbe essere questa la frase che racchiude l’intero significato di Settembre (qui il trailer). Un evento imprevisto e sconvolgente porta la protagonista (Barbara Ronchi) ad aprire gli occhi e ad osservare tutto ciò che nella sua vita non funziona più: In primis un matrimonio ormai giunto ad una inesorabile conclusione, ma anche il bisogno di cambiare radicalmente vita, concedendosi a Debora (Thony), la donna che ama. Si tratta di una frase che fa capire molto anche allo spettatore. Spesso la felicità si trova ad un passo, ma non abbiamo il coraggio di raggiungerla.

Settembre può facilmente essere scambiato per la classica commedia che rappresenta le già viste dinamiche familiari, con una coppia in crisi, un adolescente alle prese con i primi amori e rapporti conflittuali tra i vari membri. In parte è così, non lo si può negare. Uno dei punti deboli del film di Giulia Steigerwalt è proprio questo: non offre nulla di veramente nuovo. Tuttavia è interessante osservare come venga trattato il tema della sessualità e dell’amore, attraverso gli occhi di tre fasce d’età diverse (ragazzini, ragazzi più grandi e donne adulte), facendoci capire come il filo conduttore di queste sotto trame rimanga sempre l’implicito bisogno di sentirsi ascoltati e di sentirsi apprezzati per ciò che si è.

Il film di Giulia Steigerwalt cerca di essere una commedia che al tempo stesso si impone l’obiettivo di far riflettere lo spettatore. Vedendo i personaggi sullo schermo, capiamo che in realtà Settembre non riesce né a farci ridere né (quasi mai) a farci pensare. Al massimo ci strappa qualche piccolo sorriso, ma niente di più. Il tentativo di raccontare tre storie parallelamente naufraga davanti ai troppi personaggi e ad una narrazione fin troppo dispersiva che non permette allo spettatore di focalizzarsi a pieno su ciò che vede, venendo sbalzato da una storia all’altra in maniera fin troppo brusca. Lo spettatore si trova a seguire una storia che si interrompe e riprende minuti e minuti dopo, impedendogli di empatizzare con i personaggi.

Ben poche sono le emozioni che Giulia Steigerwalt riesce a suscitare con il suo film. Per sua fortuna c’è l’ottima interpretazione di Fabrizio Bentivoglio a correre in aiuto della regista esordiente. Il personaggio interpretato dall’attore (un anziano medico divorziato) incarna a pieno quel sentimento di solitudine di cui, sotto sotto, ogni essere umano ha paura. La vita post divorzio viene rappresentata come una condanna per l’uomo, mai per la donna che invece trova, da questo evento, nuova linfa vitale per andare avanti. Sebbene si tratti di una rappresentazione poco oggettiva, Settembre sa condurre per mano lo spettatore in quell’inquietante solitudine che spesso accompagna il genere maschile. Senza l’amore di una donna, ogni uomo sembra perso o ha paura di perdersi, andando avanti per inerzia. Sopravvivendo.

Settembre è quindi una dimostrazione delle varie sfaccettature dell’amore, ma che non riesce a convincere fino in fondo. Il modello narrativo proposto per raccontare la storia stride con le buone interpretazioni degli attori protagonisti, oscurando in parte quell’interessante conflitto che li caratterizza. Giulia Steigerwalt alterna momenti in cui tenta di strappare una risata allo spettatore (non sempre riusciti) a momenti più emotivi. Alcune volte funziona, altre meno.

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