#RomaFF18: Eileen, la recensione del film di William Oldroyd

Eileen, la recensione del film di William Oldroyd

Siamo nel Massachusetts degli anni ’60 e Eileen Dunlop (Thomasin McKenzie) vive nei dintorni di Boston, a casa del padre, ex poliziotto, alcolista e violento. Vi si era trasferita qualche tempo prima quando la madre, ancora in vita, aveva bisogno di cure. Tre anni dopo, però, la giovane – da cui il film prende il nome, Eileen (trailer), diretto da William Oldroyd e presente alla Festa del Cinema di Roma – è ancora incastrata nella quotidianità che aveva pensato come temporanea: badare al padre molesto e lavorare come segretaria nella prigione minorile maschile della città. La vita di Eileen scorre nell’indifferenza e apatia, stati emotivi con cui cerca di coprire il vuoto (o peggio) che circonda le sue relazioni sociali, familiari e lavorative. Ha ventiquattro anni, ma sembra di sentire già decretata per se stessa la sentenza del fato. Ci troviamo nella società statunitense degli anni ’60, nel pieno dei resoconti culturali del dopoguerra, in una società profondamente misogina e solo in principio incamminata verso principi di eguaglianza di genere, classe, ecc. Tutto ciò pesa sulle spalle della protagonista, che fatica a trovare un posto per sé nella società (o meglio, trovare un modo per trovare quel posto).

Una svolta avverrà all’arrivo di Rebecca (Anne Hathaway), la nuova psicologa del penitenziario. Leggermente più grande di Eileen, Rebecca si mostra subito come una donna con idee chiare e contrastanti rispetto a quelle comuni. Affascinante per aspetto e intelligenza, ammalia Eileen che, inizialmente, sembra confusa tra il voler essere come lei e il volere stare con lei. Questa confusione sembra vertere verso intenzioni più chiare quando Rebecca mostra espliciti segnali di interesse verso Eileen. Tra le due, infatti, inizia un flirt che prende le redini del film e fa chiedere a chi guarda quale direzione prenderà la storia. Proprio al culmine di questo interrogativo, la narrazione subisce una svolta alquanto repentina, trasformando il film in una sorta thriller psicologico con connotazioni sanguinolente e a tratti psicopatiche.

Eileen è un thriller atipico: impiega più di due terzi del film per esplicitare le sue intenzioni e poi, purtroppo, non fa i conti con le conseguenze delle sue scelte narrative. Le premesse sono buone, l’ambientazione è realistica, la recitazione ottima e la fotografia è accurata nel suo tentare di ricreare un’atmosfera a tratti hitchcockiana. Eppure, la storia finisce sul più bello. Il film bypassa totalmente la parte più interessante di una storia crime: fare i conti con il crimine, chiedersi cosa succederà ai criminali: verranno catturati? Scapperanno e la faranno franca? E le vittime?. Ancora di più, questa non è solo la parte più interessante. Nel caso di questo thriller in particolare, data la repentinità della svolta narrativa, appare anche la parte più necessaria. Se non affrontata, neanche abbozzata, provoca in chi guarda la sensazione di aver visto un finale “furbo” che salta volontariamente la parte più difficile per non rischiare di sbagliarla. Il film, così, implode, lasciando tutte e tutti un po’ a bocca asciutta. Nonostante questo, la visione è comunque molto piacevole e l’ottima recitazione di Thomasine McKenzie e Anne Hathaway compensa alcune delle lacune strutturali.

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