#ROMAFF15: Supernova, la recensione

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È l’intimità di un letto matrimoniale ad aprire Supernova (trailer) di Harry Macqueen, un letto nel quale Sam (Colin Firth) si aggrappa a Tusker (Stanley Tucci), il compagno di una vita che soffre di demenza precoce, una malattia che lo spinge a voler intraprendere un viaggio in camper, durante il quale, sembrerebbe, poter ritrovare vecchi amici e con loro ricordare i momenti passati insieme, prima che questi siano completamente offuscati. È la strada infatti ad irrompere nel campo visivo dello spettatore subito dopo la scena iniziale, che qualifica sin dall’inizio Supernova come un road movie dal carattere nostalgico e malinconico.

Un road movie particolare seppur con tutti gli elementi topici del genere – dal camper, alle musiche anni sessanta e settanta –  ma nel quale la strada spesso cede il passo agli spazi interiori, sia perché è all’interno che si trova la macchina da presa per gran parte del film, sia perché il viaggio al centro di Supernova non si compie su un percorso che la lente è in grado di mostrare. È un viaggio che è soprattutto lotta contro il tempo per i due protagonisti, sebbene in maniera diversa: Sam, esattamente come si aggrappava a Tusker nella prima scena, si aggrappa ai ricordi di un passato che tenta di ripercorrere con il camper, che diventa quindi la sua macchina del tempo; per Tusker invece il reale obiettivo è quello di fermarlo il tempo, ed ecco che quindi lo stesso camper, la strada, la casa diventano dei luoghi sospesi, irreali.

Malgrado con il termine “supernova” si faccia riferimento all’esplosione di una stella morente, il film in questione non esplode mai. Lo spettatore osserva con distacco il dramma di un amore braccato dalla malattia, a causa di una freddezza percepibile per la maggior parte della pellicola, data anche dalle interpretazioni di Firth e Tucci, che mettono in scena due amanti al termine della notte: due uomini che sono il ricordo di loro stessi, ai quali non resta che l’altro; due artisti che da tempo hanno abbandonato il proprio lavoro e si rifugiano nelle opere del compagno.

Il film tenta di far leva sul non-detto e sul fuori campo, ma senza riuscirci del tutto: a mancare è soprattutto un equilibrio tra ciò che si tace e ciò che si comunica, giacché si alternano momenti in cui si dice troppo o troppo poco, oscillando tra la ridondanza e la banalità. In definitiva il film di Macqueen risulta al limite dello scolastico, con dell’energia potenziale rimasta inespressa, soppressa quasi sotto il peso della mediocrità.  

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