Nomadland, la recensione: viaggio al termine del sogno americano

Nomadland di Chloe Zhao

Il 31 Dicembre 2011 Empire, Nevada diventa una città fantasma, a seguito della chiusura dello stabilimento US Gypsum intorno al quale si era sviluppata l’intera comunità. Queste le premesse di Nomadland (trailer), prima che una saracinesca si alzi, a mo’ di sipario, decretando l’inizio del film e rivelandone la protagonista, Fern (Frances McDormand), pronta a cominciare il suo viaggio al fianco di uno spettatore alla riscoperta di quell’America di cui è sempre più difficile ignorare le contraddizioni. A dirigere è Chloé Zao (così come a produrre, scrivere e montare), anche lei in viaggio, ma in questo caso verso il trionfo. Il film infatti le è già valso un Leone d’oro e due Golden Globes, nonché ben sei candidature agli Oscar.

Ad ispirare la regista è il “racconto d’inchiesta” di Jessica Bruder, un libro che narra la condizione di persone spesso in età pensionabile che a bordo di un van partono alla volta di un’esistenza nomade. Per sopravvivere svolgono lavori precari, ma per vivere al meglio contano sull’aiuto di una comunità solidale e organizzata, che si oppone all’individualismo americano accogliendo e aiutando chi è stato invece scartato dalla propria nazione. Una nazione della quale allora ci si riappropria, riconnettendosi con essa tramite le sue strade e i suoi paesaggi ancestrali.

Un paesaggio che non fa semplicemente da sfondo, ma che è vero e proprio personaggio, se non addirittura attore principale di un film che svela una verità sull’America, nascosta in bella vista. E per farlo Zao ripercorre la storia del cinema reinscrivendola al suo interno tramite quei panorami che da sempre hanno caratterizzato i film statunitensi, dalla New Hollywood, al western delle origini. Un mito di fondazione passato proprio per quei deserti e quei canyon che sono ora le location di Nomadland, un film forgiato nell’immaginario americano. D’altronde <<i nomadi non sono diversi dai Padri Pellegrini>> e la casa di Fern, prima che quest’ultima diventasse “houseless” (ma non “homeless”) sorgeva ai confini della città, con davanti a lei solo il deserto, come tante altre case di altrettanti eroi della frontiera.

Nomadland, al recensione

Troviamo allora il western e inevitabilmente il road movie, altro caposaldo della cultura USA a partire da quel testo, anch’esso per certi versi fondativo, che fu On the Road. E così come gli incontri furono fondamentali per Sal/Kerouac, così lo sono per Fern/McDormand, personaggia al fianco di persone vere, che offrono allo schermo se stesse e le loro storie. È questa una delle scelte migliori che Chloé Zao potesse compiere: dare spazio e modo di raccontarsi a chi vive Nomadland sulla propria pelle, a Linda May, Swankie, Bob Wells, assottigliando così i confini tra fiction e documentario.

Nomadland, disponibile dal 30 aprile su Star (Disney+), è in definitiva un’opera in grado di riflettere coscientemente su quali risvolti possa avere la vita in un paese che non ha di certo fatto della previdenza sociale il suo punto forte. Ma è forse al tempo stesso il film più americano di tutti, allo stesso modo in cui Furore è il romanzo più americano di tutti.

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