Marry Me – Sposami, la recensione: toujour l’amour, ma in social media graphic

Marry Me - Sposami, la recensione

Quando le scelte fatte in passato non hanno dato i risultati sperati, l’unica cosa che rimane è provare a fare qualcosa di diverso. Su questo concetto si basa Marry Me – Sposami (trailer), diretto da Kat Coiro e di produzione Universal.

Marry Me è il titolo del nuovo brano di Kat Valdez (Jennifer Lopez) e Bastian (Maluma), due cantanti latino-americani in testa a ogni classifica. Lo hanno inciso in occasione del loro matrimonio, evento che si svolgerà in diretta davanti a milioni di fan. Il fatidico giorno, però, poco prima di salire sul palco per scambiarsi le promesse, Kat scopre che Bastian l’ha tradita con la sua assistente. Delusa e arrabbiata, perciò, decide di prendere una decisione avventata: sposare un uomo a caso preso dalla folla. Ecco come conosce Charlie (Owen Wilson), un insegnante di matematica divorziato e padre di Lou (Chloe Coleman), una bambina di 12 anni. Quella che sembra essere una pazzia, sposare un completo estraneo, si rivelerà così l’inizio di un cambiamento radicale per entrambi. La bella, ricca e famosa Kat avrà l’occasione di vivere, per un po’, la normale quotidianità di Charlie, mentre lui, dal canto suo, uscirà dal suo mondo fatto di scuola e matematica per ricordare che esiste il piacere, oltre al dovere.

Fondamentalmente, Marry Me è un film in cui tutti, bene o male, interpretano esattamente loro stessi. Maluma si vede e non si vede, perché il suo personaggio è sempre in giro per concerti e si esprime a suon di canzoni e post su Instagram. Owen Wilson è il bravo ragazzo che siamo stati abituati a vederlo interpretare: si pensi, per esempio, a film come Midnight in Paris (Woody Allen, 2011) o Wonder (Stephen Chbosky, 2017). Jennifer Lopez, infine, si riconferma la Jenny from the Block di vent’anni fa. Come recita il testo della sua canzone, non bisogna lasciarsi sviare dai gioielli che indossa, rimane sempre e comunque la ragazza di quartiere che viene dal Bronx. O, almeno, è quello che vuole comunicare.

Marry Me - scena dal film

In effetti, se Kat Valdez si fosse chiamata davvero Jennifer, Marry Me avrebbe potuto assumere tinte quasi autobiografiche. Entrambe superstar mondiali coperte di gioielli e abiti costosi, circondate da manager, agenti, fotografi e sponsor, con alle spalle tre matrimoni falliti e davanti a loro la costante ricerca (senza troppo impegno) di semplicità. Una vita sotto i riflettori ha pian piano abbattuto la spontaneità, tant’è che, in ogni istante, lei (che si parli di Kat o di J Lo) è seguita da un cameraman che riprende qualsiasi cosa. Come dice a Charlie, quei video vengono poi conservati per il suo programma su Instagram che mostra piccoli momenti di vita quotidiana. Un personaggio quasi totalmente costruito, insomma, se non per quello sprazzo di ribellione, il matrimonio improvviso con il suo esatto opposto.

Non si può non riconoscere un merito a Marry Me: il montaggio. I rimandi ai social media sono costanti e contribuiscono a rendere una storia, tutto sommato, abbastanza prevedibile, innovativa, attuale e più adrenalinica. Sin dall’inizio le riprese tradizionali vengono alternate con grafiche social, da diretta Instagram o da articolo di webzine. A pensarci bene è una trovata molto intelligente: se è vero che il matrimonio, per dirne una, è stato organizzato come un evento mondiale, è altrettanto vero che molti fan non lo vedranno dal vivo o in televisione, ma dalle dirette su Instagram. Perciò, perché non rendere partecipe anche lo spettatore di un’esperienza del genere? Ed ecco che trasformare lo schermo del cinema in un collage di schermi di telefono con tanto di commenti e reactions non solo spezza la sensazione di già visto, quanto mantiene il ritmo frenetico di visione anche dei più incalliti scrollatori compulsivi.

Nel suo complesso, Marry Me è e rimane una rom-com vecchio stile. La premessa è coraggiosa, il film è piacevole, ma non si impegna fino in fondo e si fa vincere dalla paura di dire qualcosa di veramente diverso. Non è deludente, sia chiaro! È un po’ come rivedere il proprio film preferito: può commuovere, può divertire, può far stare bene. Semplicemente, quello che non fa più è sorprendere.

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