L’estate in cui imparammo a volare, la recensione della serie su Netflix

Katherine Heigl – conosciutissima per il suo ruolo di Izzie Stevens in Grey’s Anatomy – ritorna sul piccolo schermo per un nuovo drama seriale. Protagonista insieme alla sua co-star Sarah Chalke, veste i panni di una ricca e famosa conduttrice di un talk show immersa nella frenetica vita della televisione, in una Seattle moderna che ne fa da sfondo. L’estate in cui imparammo a volare (trailer), traduzione italiana di Firefly Lane, è uscita su Netflix il 3 febbraio, ed è basata sul romanzo Firefly Lane di Kristin Hannah. La serie, creata da Maggie Friedman, vede come produttore esecutivo la stessa Katherine Heigl insieme a Stephanie German e Lee Rose per ben dieci episodi.

La storia ruota attorno alle vicende che coinvolgono Tully Hart (Katherine Heigl) e Kate Mularkey (Sarah Chalke), due donne legate da un’amicizia di lunga data, che sfocia in un rapporto quasi di simbiosi. Il loro primo incontro avviene negli anni ’70, quando Tully insieme alla madre “Nuvola” (Beau Garrett) – una hippie drogata – si trasferisce nella casa accanto a quella della famiglia Mularkey. Fra drammi adolescenziali, sentimenti non corrisposti, crisi universitarie, problemi lavorativi ed un triangolo amoroso con il loro primo capo Johnny Ryan (Ben Lawson) , Tully e Kate crescono e maturano insieme, diventando l’una il braccio destro dell’altra. La loro amicizia, profonda e sincera, costruita e consolidata nel corso degli anni, sembra però venir messa a repentaglio verso la fine, quando un presunto tradimento segna la rottura del loro indissolubile legame.

L’estate in cui imparammo a volare si modella attraverso una struttura narrativa che si dipana in tre macro-aree temporali. La principale è quella del presente, datato al 2003, dove Tully e Kate sono donne fatte e compiute. Da qui si ramificano le altre due che vedono le protagoniste adolescenti negli anni ’70 e giovani universitarie e poi lavoratrici negli anni ’80. Il “processo dell’analessi” è il leitmotiv della trama: l’uso costante dei flashback è volto a spiegare l’evoluzione dei personaggi ed i loro rapporti spesso conflittuali. Ci si muove attorno a costanti parallelismi fra presente e passato che chiariscono le scelte e le posizioni dei singoli, seppur alcuni “ritorni al passato” risultino superflui e non dicano niente che arricchisca il racconto.

Il focus della narrazione è esplorare a trecentosessanta gradi le dinamiche delle protagoniste, evidenziando in questo modo anche le loro differenze caratteriali e non. Tully e Kate infatti sono agli antipodi. Tully è la ragazza esteticamente bella e desiderata da tutti, con un temperamento spiccato e forte. Non vuole figli e non ha una predisposizione alle relazioni serie e durature. Nel corso della serie si trasforma in una donna intraprendente, indipendente e sicura di sé, arrivando a realizzare il suo sogno di essere giornalista di successo. Rappresenta la figura femminile fuori dal comune, colei a cui gli occhi indiscreti della società sono puntati addosso per trarne dei pregiudizi, non combaciando con lo stereotipo della donna che diventa moglie e madre a cui si è abituati.

L'estate in cui imparammo a volare recensione

Kate, al contrario, è la ragazza che nessuno guarderebbe per prima. Timida e insicura, ma estremamente intelligente. Non conosce il mondo per com’è davvero ed è aiutata da Tully a fare esperienze che possano farla crescere. Si sposa ed ha una figlia, nonostante la si veda poi divorziare dal marito ma rimanere comunque appigliata al concetto di amore eterno. Kate e Tully, nonostante le incomprensioni e le diversità, sono l’esempio di due donne che riescono ugualmente a completarsi. Nessuna delle due si sente fragile in presenza dell’altra, ed è questa la chiave vincente di tutta la serie: l’amicizia che va al di là della diversità, dell’invidia e delle incomprensioni.

Mentre si galoppa fra un tempo ed un altro, L’estate in cui imparammo a volare mette in mostra – finalmente – l’esempio dell’emancipazione femminile. Gli anni ’80 sono stati il decennio vincente in cui si è vista nascere la figura della donna attiva nel mondo del lavoro, che diventa autoritaria, stimata, e che riesce ad imporre la sua voce in un mondo ancora troppo patriarcale. Tully Hart è l’incarnazione di questa nuova versione della donna che si batte per i suoi ideali, che dedica corpo, anima e sudore per far diventare della sua passione il suo lavoro. A passo sicuro cammina con determinazione verso un solo scopo, non guardando in faccia a nessuno seppur questo possa lasciare gli altri dietro, a volte anche la sua migliore amica.

La diegesi ha un intreccio di per sé semplice, dove però vengono collocate delle sottotrame in cui lo spettatore si pone delle domande su quali – e come –  saranno gli eventi successivi. Più di una volta ci si ritrova a chiedere: cosa succederà? Chi risentirà di questa scelta? Ogni punto interrogativo trova la sua risposta man mano che le vicende dei personaggi prendono forma negli episodi. L’unico che non verrà chiarito è il finale, nel quale Tully e Kate sembrano non esistere più come coppia, ma si sono scisse, diventando due individui separati dopo dieci puntate vissute l’una nell’altra, spesso con insistenza.

L’estate in cui imparammo a volare è il dramma romantico per eccellenza, perché parla sempre di un amore, che è quello fra due amiche per la vita. Ed è per questo che diventa la storia adatta da vedere con la propria “partner in crime”, dalla quale ognuna di noi sa che non se ne separerà mai.

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