La situazione politica degli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta è incendiaria. L’attivismo corre per le strade con le sue grida antimperialiste, antirazziste e talvolta esplicitamente socialiste. Tra le metropoli che ospitano le più grandi manifestazioni spicca l’immancabile Chicago, già di per sé conosciuta come caotica e ingestibile, uno dei centri urbani più storicamente legati alle rivendicazioni dei movimenti proletari americani. Qui, vive e conduce la sua lotta Fred Hampton, il giovanissimo leader della sezione locale delle Pantere Nere. Dopo essere apparso recentemente a fianco del numero uno del partito Bobby Seale ne Il processo ai Chicago 7 (2020), è ora in primo piano nel film Judas and the Black Messiah (trailer), diretto da Shaka King e con l’interpretazione di Daniel Kaluuya.
Hampton era entrato nella lista degli obiettivi dell’intelligence americana come sovversivo, ma la pericolosità, più puramente politica, risiedeva nelle sue capacità oratorie e organizzative, tali da raggruppare partiti della sinistra radicale diversi tra loro per etnia, sotto il nome di “Rainbow Coalition”. A Chicago passavano quindi i più sferzanti venti di controffensiva alle spinte reazionarie delle autorità statunitensi, le quali fecero ricorso a infiltrazioni, viziate a volte da metodi ricattatòri e manipolatòri. Se da parte delle Pantere Nere la sfida alle autorità così terribilmente organizzate poteva essere contemplata attraverso lo sforzo collettivo, da un’altra, queste incutevano timore “più di quanto può fare una pistola” in chi si ritrovava ad affrontarle da solo. È il caso di William O’Neal (Lakeith Stanfield), incaricato dall’agente federale Roy Mitchell (Jesse Plemons), in cambio del rilascio in seguito a un arresto per furto, di avvicinarsi a Hampton e al suo partito con lo scopo di raccogliere informazioni utili sulle loro mosse.
Il Messia accoglie così il suo Giuda, che in più occasioni sente crescere dentro di sé il peso del doppio gioco a cui si ritrova sempre più dolorosamente legato, come ad aver stretto un patto con il diavolo che non permette il ritorno sui propri passi. O’Neal è tirato da una catena infernale che da Mitchell passa per gli alti gradi dell’FBI fino a giungere al suo capo, J. Edgar Hoover (Martin Sheen), la cui voce tuona minacciosa verso la figura di Hampton. Questi ultimi rappresentano i due estremi di una guerra politica e (allegoricamente) religiosa che insanguina le strade e gli edifici, dove si scontrano gli emissari delle due fazioni. “Guerra” è inoltre una parola che viene spesso ripetuta nel film, e che risulta decisamente adeguata a descrivere il modo con cui vengono mostrate le vicende: dalla potente solennità delle immagini delle arringhe, fino alla dettagliata durezza di quelle relative alla preparazione e all’attuazione di scontri con armi da fuoco.
Judas and the Black Messiah si pone come un film sulla diversità di pensiero e di azione tra il popolo afroamericano, politicizzato o meno, tutt’altro che omogeneo, e ancor di più per quanto riguarda l’intera platea anticapitalista. Tuttavia, Fred Hampton risalta come una di quelle personalità in grado di far dialogare le diverse correnti, non senza l’influenza della compagna Deborah Johnson (Dominique Fishback). Il film di Shaka King intende lasciare delle tracce anche sull’aspetto intimo di quelli che fuori sono conosciuti come rivoluzionari o traditori, al cui compito vengono chiamati Kaluuya e Stanfield, entrambi nominati all’Oscar per il miglior attore non protagonista. I due si dividono lo schermo disegnando percorsi ascendenti che in realtà sono discendenti e viceversa, svelando l’incidenza delle implicazioni personali nella costruzione o nella disgregazione del processo rivoluzionario. Judas and The Black Messiah si presenta all’edizione degli Oscar 2021 con 6 candidature in totale, tra cui quella per il miglior film. Distribuito da Warner Bros., in Italia è già disponibile dal 9 aprile tramite noleggio o acquisto sulle piattaforme digitali.