Intervista ad Andrea Arcangeli: l’amore per il cinema che lo ha reso attore

Andrea Arcangeli, intervista
Foto di Paolo Palmieri

Andrea Arcangeli è un giovane attore italiano, premiato recentemente come miglior interprete ai  Fabrique du Cinéma Awards 2023. La sua carriera ha preso avvio dalla sua comparsa in televisione nella fiction Fuoriclasse, seguita, successivamente, dal primo ruolo cinematografico in Tempo instabile per probabili schiarite e da quello da protagonista in The Startup. Arcangeli ha rivestito parti che hanno dato una grande spinta alla sua carriera, come quella di Yemos nella serie Romulus e quella di Roberto Baggio in Divin Codino. Su Netflix è ora possibile trovare Come pecore in mezzo ai lupi, l’ultimo lavoro a cui l’attore ha preso parte.

Quanto l’Andrea spettatore influenza l’Andrea attore? Quanto quello che guardi influisce sul tuo lavoro?

Direi che quello che guardo mi influenza al 100%. Io sono in primis uno spettatore. La mia passione per il cinema è nata ovviamente guardando i film e imparando dagli attori e dai registi. Tutto questo prima ancora di capire che la recitazione potesse essere una porta di accesso in questo mondo. Inevitabilmente tutto quello che faccio adesso è legato a quello che vedo da spettatore, a partire dalla scelta di progetti a cui decido di partecipare. Difficilmente scelgo di prendere parte a film che non guarderei. Poi, ovviamente, come dice Elio Germano, questo è il lavoro più precario del mondo, quindi non posso permettermi di fare solo quello che mi piace. Per quanto possibile cerco sempre di tenere l’asticella alta, cosa che molte volte mi porta ad accettare dei lavori super complicati e dei quali spesso non mi sento neanche all’altezza. Se accettassi qualsiasi ruolo sicuramente mi sentirei scarico dal punto di vista creativo.

Da spettatore cosa ti piace guardare?

Eluderei la risposta ovvia del tipo “mi piacciono tutti i generi”. Ci sono tanti generi di film che non ho mai amato particolarmente, l’horror per esempio. Lo guardavo da piccolo, in realtà, ma poi qualcosa sicuramente deve avermi traumatizzato e ho smesso di farlo. Non ho neanche mai amato particolarmente i musical, a meno che non siano fatti ad arte. Thomas Vinterberg, Paweł Pawlikowski e Terrence Malick sono alcuni tra i registi che hanno realizzato film capaci di segnarmi. Mi piace, inoltre, anche un cinema che sia molto estetico. Forse, ciò dipende molto dalla mia passione per la fotografia. Apprezzo molto quando il cinema sa lavorare molto di simbiosi tra narrazione ed estetica. Tra i registi italiani mi viene in mente Jonas Carpignano, con il suo A Chiara. Mi piacerebbe un giorno avere l’opportunità di lavorarci insieme per vedere cosa potrebbe venirne fuori. In generale, per scegliere cosa guardare mi baso di più sul linguaggio dei registi che sul linguaggio di genere. Apprezzo quando un cineasta ha uno sguardo libero, quando può sviluppare al massimo il suo punto di vista. A mio parere, le operazioni che spesso non funzionano sono quelle dove degli artisti vengono messi nelle condizioni di dover smussare le loro idee poiché ci sono troppe persone che prendono decisioni al posto loro. Lo dico anche da attore, il mio lavoro è quello di aiutare il regista a portare a casa il suo lavoro, la sua visione del mondo, io sono il mezzo emotivo attraverso cui delle parole vengono tradotte in realtà di immagine.

Il tuo studio sul personaggio segue una linea precisa? Ti rifai ad un determinato metodo di recitazione per approcciarti ad un nuovo ruolo?

La verità è che stiamo parlando di una cosa talmente tanto personale, astratta ed inafferrabile che non esiste un reale riconducimento possibile a qualcosa. Io ogni volta che credo di aver trovato una tecnica, mi succede qualcosa, mi arriva un ruolo o lavoro con un regista che me la smentisce e che mi spinge a crearne una nuova. Tutte le volte che mi sono sentito adagiato su un’idea di tecnica sono state le mie performance peggiori. Sto lavorando adesso con un regista che mi ha completamente destrutturato. Mi sono accorto che spesso devo dimenticarmi quello che credevo di sapere, abbandonare quelle “comode seggiole” su cui mi stavo sedendo. Devo cercare di essere un camaleonte che si adatta ed accoglie ogni forma nuova che arriva. Quando mi arriva un nuovo lavoro, difficilmente all’inizio me lo vivo con leggerezza e serenità. La leggerezza arriva quando capisco come navigare in questo nuovo linguaggio che magari ho anche imparato da zero. Cerco il più possibile anche di mettermi nelle mani del regista, se, ovviamente, viene a crearsi un legame di fiducia. Anche per questo faccio molto una scrematura iniziale prima di accettare un ruolo. È  difficile che io mi metta nelle mani di un regista di cui non mi fido, oppure che io accetti uno script che non mi piace. Se lo faccio vuol dire che è un tipo di lavoro in cui sento di poter dare il mio contributo.

Ripercorriamo insieme la tua carriera e i suoi sviluppi. Come hai conquistato i primi ruoli? È stato complicato cominciare a farti conoscere?

Beh sì, è stato difficile, anche perché io sono partito veramente da zero. Sono cresciuto a Pescara, sicuramente non uno dei nuclei nevralgici del cinema italiano. Ho avuto un piccolo colpo di fortunata, sono stata la persona al posto giusto nel momento giusto. Ho partecipato ad un workshop di una casting director nella scuola di teatro che frequentavo nella mia città. Lei mi vide e mi propose di fare un provino. Non mi presero per quel ruolo ma per uno più piccolo. Da lì ho deciso di prendere un anno sabbatico, trasferirmi a Roma ed iscrivermi all’università, Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza. È cominciato un lento percorso: piccoli ruoli, tanti provini, molti “no”. Tutte piccole conquiste nell’accezione archetipica di “gavetta”. Ho deciso comunque di improntare abbastanza presto la mia carriera affinché avesse una linea nella quale io credessi fermamente. Evitare progetti che io non stimassi, per esempio. Questo ovviamente mi ha portato a vivere molti periodi vuoti, senza lavoro. Il 2018 è stato un anno abbastanza scarno, da questo punto di vista. Avevo rinunciato ad una serie di progetti che secondo me non erano validi. Il lato positivo è stato che in quell’anno ho dato tutti gli esami che mi mancavano all’università e mi sono laureato. Due settimane dopo ho fatto il provino per Romulus e da lì è iniziata la mia avventura con questa serie. Questo ha dato un salto di qualità alla mia carriera.

Intervista ad Andrea Arcangeli

Tra i personaggi che hai interpretato ce ne è uno che pensi abbia influenzato particolarmente la tua carriera?

Divin Codino, il film su Roberto Baggio, è stato per me un colpo al cuore. È arrivato in un momento in cui ero molto giovane ed era un progetto molto complicato che mi ricopriva di tante responsabilità. Mi sono ritrovato in mano una roba molto grande, sentivo che era finalmente arrivata l’occasione di calarmi in una metamorfosi di un personaggio realmente esistito. Sento, ad oggi, che sia stata la cosa più gratificante che ho fatto nella mia vita. Ci sono tantissimi aspetti che io mi sono portato dietro umanamente. La cosa migliore è stata conoscere Baggio, poter parlare con lui di vita, di Buddismo. C’è una frase che mi è rimasta impressa, che ho letto nella sua autobiografia. Recitava più o meno così: «Io ho passato tutta la vita ad inseguire un obiettivo, un risultato, che poteva essere vincere i mondiali, e io quel risultato non l’ho mai ottenuto. Mi sono accorto che alla fine la cosa più importante della mia vita non era quella, non era ottenere quel risultato, ma l’ho capito dopo. Era fare tutto quello che era nelle mie possibilità per ottenere il meglio che potevo. Quello che sono oggi l’ho ottenuto facendo il meglio che potevo ogni volta che mi è stata data l’opportunità». L’ho preso come un grande insegnamento, partendo dal modo in cui mi sono vissuto quello stesso film. Sento di aver fatto il meglio che potevo fare in quel momento e questo è stato il mio più grande risultato.

Hai qualche consiglio da dare a chi sta tentando di approcciarsi al mondo della recitazione?

Nel pratico è veramente difficile dare consigli. Bisogna trovare un agente valido, è sicuramente una porta d’accesso importante per questo mondo. Io ho passato gran parte della mia vita da spettatore di film, assorbendo l’energia dagli attori e dalle attrici, per cui, quando si ha la possibilità di fare questo lavoro, anche se si tratta solo di una piccola parte, bisogna sentirsi veramente privilegiati. Per esempio, adoro guardare i backstage dei film: Joaquin Phoenix che è sul set con lo script in mano e le luci puntate addosso, esattamente come mi ci ritrovo io o come ci si ritrova un attore che fa una sola scena. È un privilegio arrivare lì e, a mio parere, vale la pena lottare per arrivare a questo privilegio.

Che tipo di rapporto hai con la critica? Ti piace leggere le recensioni dei film a cui prendi parte?

Mi piace leggerle quando sono positive. Le critiche negative mi sono arrivate e sono pesanti da ricevere. Ma poi quando arrivano quelle positive nel mio subconscio lasciano davvero il tempo che trovano. Capita, delle volte, che escano i miei film e io mi vada a leggere le recensioni, a volte sono contento, a volte no, altre volte non vengo neanche nominato. La critica fa parte del gioco, di una visione più ampia in cui il nostro lavoro non esiste se non viene consegnato ad un pubblico. Io accetto a priori l’idea che il mio prodotto venga creato fin dall’inizio per essere poi usufruito da un pubblico, e che il pubblico, una volta che lo prende in mano, può farne veramente quello che vuole. Quando uscì Divin Codino io scrissi un messaggio a Letizia Lamartire, la regista, dicendole che questo film non sarebbe stato più nostro, ma del pubblico e che il pubblico avrebbe potuto farne quello che voleva, ed è giusto così. Per The Startup successe che ci fu una grande critica da parte della comunità degli startupper. In qualche modo quelle critiche mi toccarono sul personale e io avvertì che per un attimo queste avevano cambiato la mia percezione personale del film, di quello che io avevo vissuto realizzando quel film. Quando mi sono reso conto di questa cosa ho deciso che non sarebbe successa mai più. Non sto più permettendo che quello che arriva a dire qualcun altro sia così velenoso e nocivo per me. Non devo pensare di fare film esclusivamente per gli altri, altrimenti non spenderei tutto questo tempo nella scelta dei ruoli giusti per me.

Progetti per il futuro?

Ho due film in uscita nel 2024, uno americano e uno di una produzione italo-messicana. Sto girando una serie di un regista italiano molto importante, ma non posso dire molto altro poiché sono progetti non ancora annunciati. Sono tre lavori completamente diversi tra di loro, che mi hanno richiesto sforzi completamente diversi. Sono in linea con il percorso fatto fino ad adesso e spero alzino ulteriormente l’asticella. Mi posso ritenere soddisfatto.

Intervista a cura di Francesca Nobili.

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