Gunpowder Milkshake, la recensione del film su Amazon Prime Video

Immaginate Nighthawks di Edward Hopper saturato con colori “punch” che rimandano ad un’estetica a tratti iperrealistica alla David LaChapelle: queste a grandi linee le ambientazioni e la fotografia di Gunpowder Milkshake (trailer), nuovo action movie tutto al femminile del regista israeliano Navot Papushado (RabiesBig Bad Wolves), disponibile su Prime Video dal 28 luglio. Il film fa un uso esplicito e anche un po’ stucchevole dei simboli e dei luoghi dell’immaginario collettivo statunitense, dal diner al bowling, dai milkshakes ai negozi per videocassette, catapultandoci in un mondo pressoché deserto, spesso notturno, che riflette lo stato d’animo della protagonista, Sam (Karen Gillan).

In un flashback iniziale, Sam è lasciata da sola in un diner da sua madre (Lena Headey), sicario di professione, che ha alle calcagna un gruppo di uomini armati. Quindici anni dopo, Sam ha deciso di seguire le orme della madre, diventando una killer assoldata da un’associazione criminale, The Firm, ed in particolare da Nathan, per cui lavorava anche sua madre. Alla ragazza, che ha appena compiuto una strage di uomini durante una missione, viene dato il compito di uccidere un uomo, ma deve ben presto fare i conti con il proprio vissuto e le proprie emozioni, andando contro gli ordini impartiti per salvare una bambina, Emily (Chloe Coleman). Questa decisione le metterà contro il sindacato criminale per cui lavora, che decide di eliminarla. A questo punto soltanto l’aiuto delle amiche della madre, le tre Librarians (Florence, Anna May e Madeleine) interpretate da Michelle Yeoh, Angela Bassett e Carla Gugino, potrà risollevare le sorti della situazione.

Il film si presenta alquanto scarno nei contenuti e nella trama, limitati al rapporto irrisolto madre-figlia e del suo surrogato Sam-Emily. Sam è stata una bambina abbandonata a causa della violenza e del lavoro della madre, così come lo è Emily. Sam empatizza con la bambina, rivede in lei quell’infanzia perduta e mai vissuta, rappresentata da quel milkshake bianco latte, puro ed immacolato, guastato e sporcato dal sangue all’inizio del film. La protagonista non vuole che Emily viva quello che ha vissuto lei, vuole proteggerla da quella sensazione di solitudine in cui è stata costretta a vivere dopo la dipartita della madre. Karen Gillan ha abilmente interpretato e fatto proprio quel freddo distacco, quella cinica violenza, quel labile attaccamento alla vita del suo personaggio, che vengono tuttavia messi in discussione con l’entrata in scena di Emily. Questa è l’unica nota positiva in una trama troppo priva di evoluzioni caratteriali e quello della protagonista è l’unico personaggio veramente riuscito del film.

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Tutte le altre figure che ruotano intorno a Sam appaiono piuttosto scialbe e prive di spessore, a partire dalla madre, con cui troppo facilmente viene recuperato un rapporto che è stato causa di tanto dolore. Le tre Librarians appaiono come triplice surrogato della figura materna, troppo poco caratterizzate nonostante il valore attoriale delle tre interpreti, che avrebbero meritato sicuramente più spazio. Florence, Anna May e Madeleine costituiscono comunque buoni centri propulsori di una spinta alla risoluzione della vicenda verso una affermazione del potere femminile, verso un riscatto di Sam e delle altre nei confronti del patriarcato, di un’emancipazione da quella condizione di sopruso maschile rappresentata dal sindacato criminale. Non è un caso che la maggior parte degli uomini nel film vengano descritti in maniera caricaturale, come privi di valori e senza la capacità di provare amore o empatia.

Sam si ribella alle regole, agli ordini impartiti da quegli uomini che gli hanno portato via la madre, che decidono cosa può e deve fare, che la vogliono come una marionetta al loro servizio. La ribellione di Sam la porta alla scoperta di sé stessa, al ritorno di sua madre, muove il mondo verso un ordine governato non più dalla subordinazione ma dal riscatto e dalla vittoria di Sam e degli altri personaggi femminili verso l’insulso branco di uomini che le ha relegate per anni in una posizione marginale e senza potere decisionale.

La fotografia carica, a volte un po’ posticcia, e le scenografie utilizzate sposano bene il tema dell’immaginario americano e patriarcale che tenta di imporsi sulle eroine del film e a cui si oppone il loro desiderio di cambiamento, rappresentato dal viaggio successivo che le stesse compiono alla ricerca di un proprio luogo e di una propria realtà. Nonostante la trama un po’ troppo esile, alcuni personaggi poco sviluppati e l’uso marcato e un po’ esagerato del ralenti durante le scene di azione, Gunpowder Milkshake ci regala una bella sensazione, quella di una rivincita e di una forza, tutta femminile, che ci viene trasmessa anche grazie alla bravura delle attrici nel film.

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