Donnie Darko ieri e oggi: 20 anni di un cult indie

In quel 2001 lontano ormai vent’anni, Richard Kelly debutta alla regia e alla sceneggiatura con Donnie Darko, pellicola discussa e indigesta da molti per la sua complessità e abbondanza intertestuale, in cui sci-fi, psicosi, sogno e arte si incontrano sullo sfondo del realismo suburbano. Donnie Darko è una storia di scelte e paura: protagonista assoluto è il tempo, attraverso cui Kelly scava nella psiche di Donnie, un ragazzo della middle class americana interpretato da un Jake Gyllenhaal inquietante e inquietato, eroe e antieroe velato da un’aura di nostalgia, che mette in dubbio una realtà che precipitosamente si frantuma.

Lo sforzo intellettuale necessario per sbrogliare la fitta rete della trama non impedisce allo spettatore di entrare in empatia con i protagonisti e di provare quello che Donnie chiamerebbe «lo spettro completo delle emozioni umane» – strano a dirsi per un film che i più sbadati liquiderebbero come “thriller psicologico”. Kelly regala al pubblico tessere di un puzzle frammentario e, laddove molti registi avrebbero arrancato e inciampato pur di fornire una soluzione definitiva, sceglie l’indefinitezza sulla comprensibilità immediata, cercando significati mai univoci tra i loro incastri.

La complessa impresa mira ad un Bildungsroman ambientato nelle disfunzioni carnevalesche degli anni Ottanta che vanno, casualmente, ad intrecciarsi con i tragici eventi dell’allora recentissimo 11 settembre – che certo non hanno giocato a favore di una pellicola il cui intreccio prende vita dalla caduta del motore di un Boeing… Una premessa: Kelly afferma di non aver inteso Donnie Darko come «rappresentazione della malattia mentale». Gli spettatori più pigri dovranno perciò rassegnarsi all’idea che l’azione non si svolge nella mente schizoide di Donnie, bensì in un altro continuum spazio-temporale che ha inizio alla mezzanotte del 2 ottobre 1988, quando al ragazzo viene data insieme nuova vita e annunciata la sua morte, ritrovandosi ad investire il ruolo messianico di viaggiatore del tempo.

Viaggi nel tempo e libero arbitrio

Donnie Darko è un sogno, un’allucinazione, la realtà di un multiverso? Donnie è l’eroe che salva il mondo o un suicida che non lo sopporta più? Nel cinema, l’Apocalisse è spesso legata a personaggi con disturbi mentali, più sensibili e inclini ad accogliere la fine del mondo come liberazione – un esempio su tutti, Melancholia di Lars von Trier, 2011. Ma se la dottoressa Thurman (Katharine Ross) tenta di risolvere le «turbe emotive» di Donnie con l’incremento delle dosi dei farmaci somministrati, ricercando nel delirio e nella violenza i sintomi della schizofrenia, spetta al pubblico difenderlo da diagnosi affrettate e addentrarsi assieme a lui nei meccanismi del viaggio nel tempo.

Oggi basta una semplice ricerca online per avvicinarsi a concetti quali “paradosso della predestinazione” o “principio di autoconsistenza”, ma era il 2001 quando Kelly impostava il suo lungometraggio sul concetto di un “Universo Tangente” coesistente a quello “Primario”, e termini quali “ponti di Einstein-Rosen”, “wormhole”, “entropia”, erano ancora rari nel cinema e nella cultura pop. Il libro fittizio The Philosophy of Time Travel, consultabile, al tempo, sul sito dedicato alla pellicola e attribuito a Roberta Sparrow (Patience Cleveland) – o “Nonna Morte” – sembra essere stato scritto dal regista quasi a rimediare a tanta inaccessibilità.

«Ogni essere vivente si muove su un sentiero già tracciato. Ma… se uno vedesse il proprio sentiero fino in fondo, potrebbe vedere il futuro. E… questa non è una specie di viaggio nel tempo?»

Dopo una chiacchierata con il professor Monnitoff (Noah Wyle), Donnie espone la sua idea: Dio controlla un Tempo che è predeterminato. Il professore controbatte tirando in ballo il libero arbitrio: se abbiamo un sentiero, possiamo decidere di tradirlo e di conseguenza di tradire il nostro destino, anche se i portali spazio-temporali che permettono il viaggio nel tempo sono spiegabili solo in quanto «atti di Dio». Dio è il principio di ragion sufficiente, la ragione per cui il mondo funziona come funziona, e l’uomo, pur consapevole di avere una libertà di scelta, non ne comprende mai a fondo il perché. È fondamentale, però, conoscere il parere di Kelly: «È importante ricordare a me e a chi mi circonda che abbiamo la possibilità di controllare i nostri destini e che abbiamo il libero arbitrio, per questo ho ambientato il film in prossimità delle elezioni presidenziali». Una definizione meno circoscritta e macchinosa, forse più incline alle intenzioni del regista, sembra essere dunque quella di Helen Powell, secondo cui il tempo in Donnie Darko è un «concetto soggettivo connesso alla frammentarietà e all’ansia post-11 settembre».

Nel Middlesex, Virginia, la mentalità di massa è il pane quotidiano di cui personaggi come Jim Cunningham (Patrick Swayze) si nutrono e tutto ciò contro cui Donnie si batte, ovvero banalità, manipolazione, e bipartizione delle emozioni umane su una linea della vita divisa tra Amore e Paura. Corrispettivo femminile di tale scontro sono la professoressa Kitty Farmer (Beth Grant), devota al millantatore Cunningham, e la professoressa Karen Pomeroy (Drew Barrymore), che propone letture provocanti affinché i suoi ragazzi non si perdano nell’apatia e nella passività.

Nonostante gli studenti indossino delle uniformi – non solo uno stratagemma per aggirare il budget carente per i costumi, ma una scelta accolta da Kelly come simbolo del conformismo contro cui Donnie si oppone –, la Middlesex Ridge School pullula di bullismo, o meglio di omertà provinciale, e vittima ne è chiunque sia sensibile all’assuefazione e incline all’autenticità. Si prova rancore per la professoressa Farmer, una Regina di Cuori dell’ambiente istituzionale che dà la precedenza alla sentenza anziché al verdetto, e per Cunningham, secondo cui la paura intrappola l’arbitrio. Proponendosi come il liberatore da tali timori, però, non fa altro che colpevolizzare l’individuo per la sua infelicità.

Donnie vede più di loro e sa di più loro. Dalla fusione di scienza e religione emerge un sottotesto che lo suggerisce come “Cristo” salvatore contro l’annichilimento esistenziale di Cunningham, additato come l’“Anticristo”. Il non aprire gli occhi alla realtà di Cunningham – per il principio che non si può avere paura di ciò che non si conosce – si oppone alla comprensione del Creato. ll viaggio nel tempo diventa un mezzo per intraprendere un viaggio attraverso il “canale di Dio” e per venire a patti con la morte. Con una tale certezza, Donnie adempie al suo destino. A tal proposito, nel tabellone del cinema, luogo di una delle sequenze più toccanti, appare The Last Temptation of Christ (r. Martin Scorsese, 1988), racconto apocrifo della parabola cristiana che ipotizza sulla provocazione di Satana a Cristo di scendere dalla croce e di rinunciare alla sua missione. Ma Cristo, come Donnie dopo di lui, infine si sacrifica, affidandosi piuttosto alle mani di Dio. L’uomo, dunque, non può scegliere, ma attendere finché tutto non si compia secondo il piano di Dio… o del Fato.

Donnie Darko e dintorni

Per Donnie e Gretchen (Jena Malone), la linea dell’esistenza tracciata da Cunningham si muove entro i termini di Vita e Morte. Nella sua risposta al Faust di Goethe, Kelly riprende il topos dell’uomo perduto e della donna vittima e salvatrice. Donnie intraprende un viaggio alla ricerca della conoscenza accompagnato da questa ragazza omonima dell’amata di Faust, nata «con la tragedia nel sangue»: Gretchen viene investita accidentalmente da colui che si rivela essere Frank (James Duval), uno dei motivi scatenanti che spingono il protagonista a viaggiare indietro nel tempo. Inoltre, Kelly lascia che il Fato di un amore così faustiano si condensi la sera di Halloween, esplicito parallelismo con la Notte di Valpurga nell’opera dello scrittore tedesco.

Dunque, è Frank il Deus ex machina che induce Donnie ad ucciderlo in modo che quest’ultimo si sacrifichi tornando indietro nel tempo, incappando inevitabilmente in un loop causale. Frank, indossando quello «stupido costume da coniglio», può essere ascritto all’immaginario anglo-americano del coniglio come protettore di un portale per un universo parallelo, guida “attraverso lo specchio”, catalizzatore della dialettica tra presenza e assenza e di liminalità psichica. Frank è dunque il messaggero dell’apocalittica voce di Dio, che appare solo nei momenti opportuni a richiamare l’inconscio di Donnie, affinché questo lo segua e capisca il suo piano.

Radici ed eredità

Nel 2001, gli anni Ottanta e la new wave inglese erano da poco passati. Richard Kelly sceglie il 1988, un anno di volta in cui i tentativi di spensieratezza del bizzarro decennio vengono zittiti da un realismo rivolto alla caduta delle certezze del nuovo millennio. La liminalità non è solo una suggestione o un fatto di numeri, di date, ma è insita nella pellicola, al confine tra realtà e probabilità. Nel ricordo del passato che corre di generazione in generazione, il contemporaneo e la nostalgia coesistono: Donnie Darko è una macchina del tempo dentro una macchina del tempo.

Un’ultima nota va spesa sulla colonna sonora di Micheal Andrews, disponibile su Spotify, e del suo amico d’infanzia Gary Jules, autore della ballad version di Mad World dei Tears for Fears (1983). Uno degli innumerevoli fascini di Donnie Darko è il distacco tra l’ideale e la realtà suggerito proprio dalla musica e non solo all’interno dell’esperienza filmica: in apertura, le immagini dell’America hollywoodiana, raegeniana sono accompagnate da The Killing Moon degli Echo & The Bunnymen (1984), il cui testo rimanda a un Fato ineluttabile; nel Natale del 2003, invece, Mad World di Gary Jules scala le classifiche delle hit natalizie, smontando l’archetipo della gioia della festività, evidentemente recepita da moltissimi come momento massimo dell’amplificazione della mancanza.

Donnie Darko non celebra le qualità prometeiche dell’uomo. Donnie vuole risposte ad una sola domanda: moriamo soli? Ha paura di conoscere la risposta, ma gli basta dedurre che la ricerca di Dio sarebbe assurda, se ognuno morisse da solo.

«Posso solo sperare che la risposta mi arrivi nel sonno. E spero anche, quando il mondo finirà, di poter tirare un sospiro di sollievo, perché ci sarà tanto da contemplare avidamente.»

SITOGRAFIA

Dhira Anggraeni, Comprehension Disorder of the Schizophrenic Character in the Movie “Donnie Darko”, «Jurnal Ilmiah Mahasiswa FIB», II, n.6, 2015, Universitas Brawijaya;

Alex E. Blazer, A Phenomenological Approach to Donnie Darko, «Film-Philosophy», XIX, 2015, Georgia College and State University;

Megan Hess, “Mad World”: The Gendering of Mental Illness in “Donnie Darko”, in cinemabblography.org, 2016;

Dennis Lim, Richard Kelly’s Totally ’80s. Over the Killing Moon, «The Village Voice», 2001;

Peter Mathews, Spinozas’s stone: the logic of Donnie Darko, «Post Script» , 2005;

Movie Explanation, in donniedarko.org.uk;

Lawrence Person, Donnie Darko: The DVD, 2003, in locusmag.com.

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