Denti da squalo: l’adolescenza tra fiaba e malavita

Recensione Denti da squalo DassCinemag

In bilico tra fiaba moderna e racconto di formazione, Denti da squalo (trailer) è l’esordio alla regia di Davide Gentile, che ha messo in scena una sceneggiatura di Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, vincitrice del premio Solinas. A completare questo trio fresco e giovane è stato Gabriele Mainetti, che ha prodotto il film e contribuito a dare quell’aria di fiaba moderna, tipica dei suoi film.

La pellicola racconta la storia del tredicenne Walter, (Tiziano Menichelli) orfano del padre Antonio (Claudio Santamaria), che dopo aver abbandonato la vita da malvivente, muore per salvare un suo collega sul posto di lavoro. Il ragazzo vive con la madre Rita, interpretata da un’insolita Virginia Raffaele in un ruolo drammatico. La donna cerca di ricominciare una nuova vita e allo stesso tempo non perdere le redini del figlio; ma lui, per evadere da quella realtà, si rifugia in una villa con piscina, dove al suo interno c’è uno squalo. All’inizio si può pensare che questo sia frutto dell’immaginazione del ragazzo, ma dopo aver ricevuto un graffio dall’animale capiamo che è decisamente reale. Proprio con lo squalo si vede l’ulteriore mano di Mainetti: il pesce è portato in scena con un animatronic ma anche con della buona CGI.

In questa villa Walter scontra/incontra quello che possiamo identificare come un Lucignolo moderno: Carlo (Stefano Rosci), che all’inizio farà la parte del duro e “datore di lavoro” del ragazzo, ma quando Walter mostrerà tutto il suo coraggio, l’amico si rivelerà essere un bulletto di cartapesta. Questa “ridicolizzazione” della figura del prepotente, del malvivente, è ripresa con altri personaggi: il ragazzo-boss, con cui Walter e Carlo faranno affari, viene presentato come un personaggio che è più interessato a battere il record di un videogioco che alla malavita; il criminale “vero” del film, Er corsaro (Edoardo Pesce), che entra in scena cantando una canzone de L’isola del tesoro.

Denti da squalo recensione DassCinemag

Rimandi ad un mondo criminale lontano da come siamo abituati a vederlo e di cui Antonio è, probabilmente, rappresentante, perché decide di abbandonare quella vita per non far diventare suo figlio come lui. Il personaggio del padre apparirà al figlio come un riflesso della coscienza del ragazzo nelle situazioni di massimo sconforto. All’inizio il padre sembra incoraggiare il figlio, o meglio, è quello che vorrebbe sentirsi dire il ragazzo, ora che con il suo coraggio ha il rispetto di tutti «Più fai paura agli altri e più in alto arrivi, perché gli altri avranno paura di te». Questa stima da parte della gang criminale gli farà montare la testa tanto da incolpare la madre della morte del padre.

La perdita di lucidità farà scontrare Walter con sé stesso e la sua giovane età. Più che denti da squalo si scoprirà avere denti da latte e che «Uno squalo che non fa più paura non è più uno squalo». Come lo squalo, che rinchiuso nella piscina ha perso la libertà, ora lui ha perso la spensieratezza della sua età per diventare adulto prima del tempo. Per liberare sé stesso decide di liberare lo squalo, dimostrazione di non voler arrivare in alto ma ritornare a godersi la sua età insieme alla madre e al suo nuovo amico Carlo.

Un film che cerca di sedare quest’aria di cattiveria che sembra respirarsi in maniera più decisa dopo il periodo buio del Covid, dove sembra che l’unico modo di agire sia la prepotenza. Si può essere bulli, arroganti, malavitosi e fare spavento a tutti, ma fin quando ci saranno persone con un animo gentile, come lo può essere quello di un tredicenne, questi “odiatori” verso il mondo saranno accecati dal loro ego e non si accorgeranno di essere raggirati da queste persone e dal buono che li circonda. Infatti, sarà proprio Walter che forse fregherà Er corsaro, perché «il problema non è la caduta, ma l’atterraggio» che oltre a ferire noi, come un’onda d’urto, può far del male a chi ci sta vicino.

Dall’8 giugno al cinema.

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