Come Fratelli – Abang e Adik, la recensione: una famiglia che supera il sangue

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Spostandosi a passo felpato tra le ombre ed i reietti nelle insenature più povere della Malesia, gli orfani Abang (Wu Kang-ren) e Adik (Jack Tan) si sono trovati e si sono scelti, diventando l’uno la famiglia dell’altro.  Il primo, ragazzo sordo e dall’indole docile, lavora duramente ed in modo onesto per guadagnarsi da vivere e, soprattutto, per rimediare ai pasticci creati dal secondo, al contrario di lui, immaturo e irascibile, che, nonostante il suo animo essenzialmente buono, finisce sempre nei guai mentre va alla ricerca degli espedienti meno raccomandabili per mettere da parte dei soldi. 

Lay Jin Ong non esita ad eplicitare le radicali differenze tra i due protagonisti, messe in evidenza sin dalle prime sequenze del film, nelle quali vengono illustrate le loro rispettive giornate. Nonostante tutto, i due tornano sempre a rifiugiarsi l’uno nell’altro, spalleggiandosi nella loro “missione”: assicurarsi i documenti d’identità per potersi lasciare alle spalle la miseria in cui vivono. 

Malgrado le svariate sottotrame, alcune tenere altre più struggenti, che si diramano, la narrazione rimane piuttosto monodimensionale e lineare: l’obiettivo principale dei protagonisti non viene mai perso di vista, neanche dall’attenzione del pubblico. Questa focalizzazione, forse un po’ estrema, non lascia spazio allo sviluppo e all’approfondimento dei personaggi di supporto: si ha l’impressione che esistano solo in funzione dei due protagonisti e non abbiano una profondità propria, che smettano di esistere una volta fuoricampo. 

Lo scarso spessore dei personaggi secondari danneggia, almeno in parte, le sequenze di maggior intensità emotiva: rimangono comunque molto travolgenti e toccanti, ma non tanto quanto potrebbero esserlo se ci fosse una cura maggiore del resto personaggi che, per quanto marginali, rimangono comunque fondamentali in molteplici momenti della narrazione. Tuttavia la loro rilevanza non sembra riflettersi nell’attenzione dedicata alla loro caratterizzazione. 

Il ritmo della narrazione risulta essere leggermente rallentato: Jin Ong lascia molto spazio alla rappresentazione dello stile di vita, della quotidianità e la miseria della comunità di Pudu. Questa premura giova al film, rendendo l’esperienza più immersiva specialmente per chi difficilmente riesce a riflettersi e sentirsi rappresentato nei modi di vivere messi in scena. 

Al contrario, si accenna solo in maniera superflua alla sfera politica del film: la critica verso uno stato, che dopo aver accolto e dato asilo vuole cacciare via, è solo implicita. Un maggior approfondimento della dimensione militante del film avrebbe solo potuto innalzarlo ad un valore maggiore. Combinato insieme alla dimensione emotiva potente e dominante della vicenda avrebbe avuto il potenziale per rendere Come fratelli (trailer) molto più che una storia piattamente politica o d’impegno. In tal modo invece, si fa fatica a classificarlo al di sopra di un ordinario film drammatico su dei rapporti familiari complessi.  

L’andamento rallentato del film rende impercettibile il climax che conduce all’azione più drammatica e ricca di pathos che caratterizza la seconda parte della narrazione. Essa è resa memorabile principalmente per merito delle interpretazioni magistrali dei due attori protagonisti, dalla potenza emotiva indiscutibile, che rendono superflue le sequenze di violenza cruda e brutale che spesso ricorrono nei prodotti di questo genere, con il fine di impressionare il pubblico. 

Quello che la recitazione degli attori non riesce a compensare però è la piega frettolosa che il film assume nell’atto finale: sembra infatti che la vicenda si debba chiudere in modo sbrigativo, senza concedere il tempo di metabolizzare la copiosa quantità di informazioni comunicate. Il tutto conduce ad un finale poco appagante, nonostante la connessione emotiva che lo spettatore è indotto ad instaurare con Abang e Adik. 

Tutto sommato il lavoro di Jin Ong è assolutamente rispettabile e degno di attenzione. Realizza un’opera toccante senza dover necessariamente impressionare o turbare il pubblico con immagini crude. Lo fa semplicemente mettendo in scena la tenerezza e l’amore puro ed incondizionato di una famiglia, non unita dal sangue ma dal sacrificio e dalla speranza di un futuro migliore.  

Dal 30 aprile al cinema.

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