ROMAFF11 – KICKS: IL VIAGGIO DI BRANDON

Alle prese con il suo primo lungometraggio, di ispirazione autobiografica, Justin Tipping risulta essere un po’ didascalico. Kicks (2016) infatti è il classico racconto di formazione, che ripercorre le tappe del Viaggio dell’Eroe di Vogler in maniera abbastanza scrupolosa.

L’eroe di Tipping si chiama Brandon (Jahking Guillory), un giovane adolescente della zona di San Francisco più basso della media e preso di mira dai suo compagni. Il suo richiamo all’avventura è rappresentato da un paio di Bred Ones (black and red Jordan Ones, scarpe da ginnastica molto rinomate tra i cosiddetti sneakerheads, persone che collezionano e ammirano le sneakers), da lui tanto desiderate, perché simbolo di uno status sociale all’interno della scuola e sinonimo di riscatto (Cenerentola docet). Il suo viaggio comincia quando le Bred Ones, riuscite finalmente ad essere acquistate, gli vengono rubate.

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All’inizio Brandon rifiuta la chiamata, non sa come riprendersi le scarpe e contrastare la banda che gliele ha sottratte. Ma dopo il superamento della prima soglia (si convince ad agire e andare a riprendersi le sue Bred Ones) e l’incontro con il mentore (lo zio Marlon, ex spacciatore e assassino), che non lo crede capace di sopravvivere alla sua impresa, il piccolo eroe varca la seconda soglia, si addentra nel luogo sconosciuto, il quartiere in cui vive Flaco, il ladro di scarpe nonché capo della banda, e scopre dove vive. Qui affronta la prova suprema, quando, mettendo in pericolo la sua vita e quella dei suoi amici,  entra nella “caverna” e recupera le sue Bred Ones.

Sopravvissuto, l’eroe Brandon può festeggiare, ma questa sua ricompensa è amara: gli amici, spaventati dal suo comportamento e dalla sua imprudenza, lo lasciano solo. La via del ritorno, quindi, appare più solitaria che mai e Brandon realizza che la sua vera crescita non è davvero avvenuta: quello che credeva un comportamento da adulto e degno di rispetto (riprendersi ciò che era suo), si è rivelato un gesto immaturo ed egoistico.

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Ed è a questo punto che avviene la vera resurrezione vogleriana: il giovane eroe, ricongiuntosi agli amici, viene inseguito dal nemico e, invece di scappare, questa volta decide di affrontare la sua paura. La ricompensa è triplice: il suo amato status symbol e i suoi amici sono con lui, e Brandon ha varcato la soglia dell’età adulta, dimostrando di essersi preso le sue responsabilità. Non è un caso che l’elemento fantastico, l’astronauta frutto della sua immaginazione, che lo ha accompagnato dall’inizio del film, a simboleggiare l’isolamento e il desiderio di fuggire compagni del ragazzo, muoia sotto i colpi di Flaco.

Realismo e surrealismo si uniscono in questo lungometraggio indie che ripercorre le tappe vogleriane ma anche i sogni e la vita del regista. Racconto di formazione classico, il film ricollega l’aspetto onirico alla sfera autobiografica di Tipping. L’astronauta ricorda, sia al regista che al pubblico, la famosa copertina dalla quale Linus tanto faticava ad allontanarsi. Quell’elemento infantile (il sogno di molti bambini di diventare cosmonauti da grandi) che accompagna tutti durante il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e, in seguito, all’età adulta, assume le fattezze di un mondo sconosciuto ai più, al di fuori della sfera terrestre. Che non lo sia anche l’uso delle canzoni rap a suddividere i vari capitoli e ad accompagnare la narrazione? D’altronde, lo stesso regista afferma che da giovane sognava di diventare una rap star, nella Bay Area di San Francisco.

Clara Giannini e Ludovica Ottaviani

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