#RomaFF14: The Farewell, it’s a good lie

#RomaFF14: The Farewell, it’s a good lie

“Questo film è tratto da una bugia vera”. Con questa didascalia si apre The Farewell (trailer) di Lulu Wang, squisita commedia che senza ombra di dubbio è tra le migliori pellicole della selezione ufficiale di #RomaFF14 fino ad ora. Già scoperto e ampiamente elogiato oltreoceano dove è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival a gennaio, in The Farewell la regista e sceneggiatrice Wang attinge dalle proprie origini di cinese emigrata nella dreamland statunitense, trasponendo il suo racconto “What You Don’t Know” pubblicato inizialmente su “The American Life”.

Billi (una straordinaria Awkwafina) vive con i suoi due genitori (Tzi Ma e Diana Lin) a New York. Tra l’essere sempre in bolletta e una carriera che stenta a decollare, la ragazza riceve la notizia che sua nonna (Zhao Shuzhen), rimasta nella sua città natale di Changchun, sta morendo di tumore. La “famiglia”, composta da piccoli nuclei sparsi per il mondo, decide di organizzare un finto matrimonio per trovare la scusa di tornare in Cina tutti insieme dopo anni e ricongiungersi con la nonna, da tenere all’oscuro della malattia.

E su quale sia il valore da concedere a questa “good lie”, interrogativo che divora viva una Billi spaesata e tesa tra due differenti culture, la pellicola ruota stupendamente con una lucidità di temi che non si pestano mai i piedi a vicenda. Essendo radicata nel mezzo (più ad occidente che a oriente), Billi non riesce a concepire il differente modo di assegnare importanza, e prezzo, alla vita e alla morte. “E’ questo che voi in occidente credete, che la vita vi appartenga”, ma in Cina vita e morte sono un affare di famiglia, investono quel cordone che abbraccia l’individuo e che è pronto a farsi carico di pene e dolori, in un transfert che nella menzogna trova il buon accompagnamento sull’ultimo sentiero da percorrere. Attorno alle tavole rotonde riccamente apparecchiate dove si riunisce la famiglia, che ricorrono per tutto il film e quadro ideale per la rappresentazione di un vivere condiviso, la Wang esplicita la circolarità di questo concetto, incomprensibile a una Billi che vorrebbe solamente sputare fuori la sua sofferenza gridandola in faccia a chi le sta vicino.

In una Cina che progredisce ad incredibile velocità, che cerca in ogni modo il sorpasso sul modello statunitense (“L’America è meglio o peggio?” “E’ differente”), dove luoghi e spazi della memoria cedono il posto a hotel nuovi di zecca e palazzi immensi, la tradizione assume i contorni di un concetto fuori (e senza) tempo da conservare gelosamente. Nel rendere concreta e tangibile la sua Changchun, Lulu Wang dimostra di padroneggiare magistralmente mezzo e genere. Con la fissità della mdp la regista favorisce il carosello di volti e gag all’interno delle inquadrature, dove i magnifici interpreti del film si alternano con i loro vissuti, i loro racconti e le loro emozioni. Nella esilarante mescolanza dei familiari contaminati dalle culture dei luoghi in cui sono finiti o rimasti a vivere, The Farewell non perde mai di vista il suo tema di fondo, trattato con una delicatezza che pare poter provenire solamente da qualcuno di cui siamo certi sentiremo parlare ancora.

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