Dopo due anni di trepidante attesa, Stranger Things, il gioiello action comedy – horror di Netflix ormai divenuto cult, è finalmente tornato per noi binge watchers. La terza stagione ci trasporta nell’estate del 1985 dove ritroviamo i nostri affezionati personaggi che trascorrono le vacanze in modo totalmente spensierato. Eleven e Mike, questa volta più cresciuti, nella fase di passaggio dal periodo infantile a quello adolescenziale, sono alle prese con i loro primi battibecchi amorosi. Il resto della comitiva che conosciamo è occupato a vivere la propria vita al meglio: Jonathan e Nancy lavorano come stagisti ad un giornale locale, Steve invece in una gelateria e tra Joyce e Hopper comincia a nascere una particolare amicizia.
Sembra quindi lontano il ricordo della minaccia del sottosopra. Eppure improvvisamente, a causa di un segretissimo esperimento compiuto dai russi sul portale per l’Upside Down, il Mind Flayer fa il suo ritorno nella cittadina di Hawkins in cerca di vendetta. Questo nemico comune, però, assumerà nel corso della stagione diversi volti, appropriandosi del corpo di svariati personaggi condannandoli ad un tragico destino dal quale sarà impossibile scappare. La narrazione resta abbastanza iterativa anche se molto incalzante, mostrandoci più subplots in simultanea che verranno poi a congiungersi alla fine creando l’effetto tipico di Stranger Things: la dilatazione della linea temporale degli eventi.
È una stagione che si focalizza maggiormente sulla crescita dei personaggi più giovani, come Eleven e Max, toccando temi di grande nota e di importanza significativa all’interno dello sviluppo di un adolescente, come la consapevolezza della propria identità e personalità, l’indipendenza, il riconoscersi come individui autonomi. Ma tante altre sono le tematiche presenti, come l’avvento del capitalismo e un femminismo ancora non del tutto sviluppato. Nonostante l’evoluzione di determinati personaggi, alcuni di essi sono stati totalmente trascurati e scansati, quasi ridotti a figure marginali all’interno dello sviluppo della narrazione, in particolare Will. Molti, sfortunatamente sono stati gli stereotipi e i cliché, a volte inseriti in modo troppo forzato all’interno della narrazione, partendo dallo sfondo della guerra fredda, arrivando al solo ambiente lavorativo di Nancy e Jonathan, nel quale vige un aspro sessismo e un fastidioso bullismo nei confronti dei nuovi stagisti.
Nonostante la maggior parte degli episodi siano ambientati nel centro commerciale Starcourt l’atmosfera generale si fa più cupa e tetra quasi a voler dare omaggio al cinema body-horror di Cronenberg, il quale ha esplorato temi piuttosto controversi, come la mutazione della carne. Varie le citazioni alla cultura pop anni ’80, dagli outfit alle musiche, fino a piccoli dettagli in svariate scene che ci ricordano film come La Storia Infinita, Terminator, Alien e Alba Rossa. Oltre ad alcune pecche di poca rilevanza, la serie contiene tanti elementi positivi da non sottovalutare: si contraddistingue per una maggiore attenzione alle scelte registiche, il che rende ogni episodio narrativo più scorrevole e vivace, aiutata da dialoghi molto accesi e veloci. Anche l’approfondimento dal punto di vista psicologico di alcuni personaggi come quelli di Hopper e Billy ha avuto una forte ripercussione sull’analisi qualitativa di questa stagione che complessivamente si riconferma uno dei più brillanti prodotti distribuiti da Netflix negli ultimi anni.