#RomaFF18: Mother couch, la recensione del film di Niclas Larsson

La recensione migliore per il nuovo film di Niclas Larsson, Mother Couch (trailer), è una pagina bianca. Niente, nemmeno una parola. Come si può, infatti, dare un giudizio o un’interpretazione oggettiva ad un lungometraggio che si pone come opera aperta? Semplice, non si può, oppure si potrebbe aprire un forum in cui raccogliere le interpretazioni di ogni spettatore. Visto che, però, siamo su una webzine cinematografica, bisogna cercare d’imbrigliare questo cavallo selvaggio.

Il film che Larsson presenta alla diciottesima Festa del Cinema di Roma racconta di una famiglia raffazzonata. Tre fratellastri, Daniel (Ewan McGregor), Gruffudd (Rhys Ifans) e Linda (Lara Flynn Boyle), si ritrovano un pomeriggio all’interno di un enorme ed isolato negozio di mobili. A condurli lì è la madre che, senza nessuna ragione apparente, decide di non alzarsi più da un bel divano color verde.

Queste sono le due righe di trama su cui si reggono 96 minuti di film. In apparenza sembra un’eternità per un racconto così semplice, eppure, tutti quei minuti scorrono piuttosto velocemente, senza intoppi, tra dialoghi estranianti e avvenimenti sconcertanti. Larsson, infatti, decide di mirare verso la commedia dell’assurdo, lasciando al pubblico una scelta: ridere o rimanere in silenzio perplesso. Come nella scena in cui il personaggio interpretato da McGregor cammina con un coltellino piantato nella schiena, confuso e disorientato. Oppure quando si prepara un caffè e a pochi metri una donna a lui praticamente estranea si sta facendo una doccia completamente nuda. Questo è Mother Couch, un insieme scomposto ed eterogeneo di scene, prive quasi di consecutività, proprio come il negozio di mobili in cui è ambientato, dove salotti e camere da letto si mescolano, dove nelle cucine c’è una tazza del bagno e in cui un divano può diventare una barca.

Ma qual è il messaggio che questo film vuole lanciare? Come detto in precedenza, la storia è un’opera aperta, che si vuole far masticare dagli spettatori per essere letta in molteplici chiavi. Una battuta, però, potrebbe essere la chiave che permette un’interpretazione più universale: «I mobili vecchi sono solo mobili vecchi, bisogna lasciarli per i nuovi». A dirla è il proprietario del negozio, figura sfuggente e quasi eterea. Il protagonista David, però, la fa sua, paragonando la propria madre a un mobile vecchio e i fratelli a quelli nuovi.

Nel caos di azioni, scontri e dialoghi, il pubblico scopre un’amarissima storia: quella della madre che, per anni, ha tenuto separati i fratelli per puro egoismo, negandogli la possibilità di vivere quel rapporto ancestrale e di avere dei familiari su cui contare. Nonostante questo, però, David non ha mai smesso di aiutare la madre, di starle accanto, di sorreggerla, di tentare di piacerle. Mother Couch, quindi, è un manifesto sul diritto di rifiutare i legami di sangue. Con un susseguirsi di scenari quasi fantastici, il film racconta agli spettatori che non è necessario mantenere i rapporti con i genitori solo perché, in apparenza, è la cosa giusta da fare. Qualche volta, proprio come fa David, bisogna lasciar naufragare queste figure, esseri umani incapaci di fare da guida ai propri figli, senza sentirsi addosso delle colpe, senza rimorsi.

Come si può capire, questo è un film che, per via della sua composizione e struttura, non è di certo da sabato sera spensierato. È un’opera densa, ben girata, con momenti comici ben scritti, ma che si perde un po’, proprio come il suo protagonista nel negozio di mobili. Insomma, Mother Couch è come una fitta foresta, bellissima e piena di misteri che, però, per essere svelati, hanno bisogno della giusta attitudine e predisposizione dell’esploratore.

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