#RomaFF16: Passing, la recensione

Passing

La paura di venire sostituiti è un sentimento comune. Il terrore di vedere un’altra persona prendere il nostro posto, quello che abbiamo sempre occupato, e spingerci all’angolo riguarda tutti noi. Sono diversi i registi, ma anche gli artisti in generale, che hanno cercato di dare forma a questa emozione e di renderla di libera fruizione. Ricordiamo Le bounher di Agnès Varda, o Nimic di Yorgos Lanthimos, per citare alcuni titoli.

Nella New York degli anni ‘20, Irene (Tessa Thompson) è una donna afroamericana che sembra avere tutto ciò che desidera dalla vita: una stabilità economica, un marito, Brian (André Holland), che la rispetta e con il quale ha avuto due bambini. L’equilibro che la nostra protagonista ha faticosamente conquistato verrà turbato dalla ricomparsa, nella sua vita, di Clare (Ruth Negga), una sua amica d’infanzia, capace di insinuarsi sempre di più nella sua mettendo a dura prova le certezze che quest’ultima pensava di avere. Passing (trailer), opera prima di Rebecca Hall, che oltre alla regia ha curato anche la produzione e la sceneggiatura, è un film originale Netflix tratto all’omonimo libro di Nella Larsen.

Passing si rifà sfacciatamente al cinema degli anni ’50 e ’60, adottando parte della sua poetica. Oltre alla scelta di utilizzare il bianco e nero, la storia di Irene e Clare sembra ispirarsi liberamente ad alcuni film del passato come All about Eve di Joseph L. Mankiewic o Persona di Ingmar Begman. La grande cura per i dettagli, soprattutto sul piano estetico, si percepisce da questi frame che ricordano delle fotografie degli anni ’20, con ambientazioni, costumi, atmosfere minuziosamente ricostruite. Irene fin da subito ci viene mostrata come un personaggio che tende a nascondere parte della propria personalità, a camuffare il colore della sua pelle per il timore dei pregiudizi. Questa sua tendenza viene restituita allo spettatore anche dal punto di vista registico: l’obiettivo della macchina da presa viene spesso “sporcato” da oggetti, elementi di disturbo, capaci di offuscare ed alterare l’immagine. Linguaggio filmico che rappresenta l’attitudine della protagonista a voler scomparire dietro gli altri.

Irene e Clare sono totalmente diverse, eppure presentano una particolarità in comune capace di unirle indissolubilmente: entrambe vorrebbero essere l’altra. Si specchiano l’una nella personalità dell’altra, si amano, si odiano, si invidiano terribilmente e tutto questo le rende così fragili ed estremamente umane. Hanno bisogno di quest’amicizia, nonostante sia un rapporto capace di metterle costantemente di fronte alle proprie insicurezze. I personaggi, e le due protagoniste in particolare, vengono svelate poco alla volta attraverso dettagli, reazioni, piani d’ascolto. Nonostante Passing sia un film che potrebbe essere considerato verboso, data la quantità e vastità dei dialoghi di cui si carica, si sviluppa molto sul non detto, su quei dettagli apparentemente trascurabili ma capaci di fare la differenza.

Passing è un film che si costruisce per sottrazione, toglie ma trasmette. Il tema che fa da sfondo alla storia è il razzismo, in particolare il modo in cui i protagonisti vivono la loro condizione di afroamericani a New York negli anni ’20. Chi finge di essere qualcun altro, chi lotta, e chi, come Irene, vorrebbe costantemente confondersi con l’ambiente circostante e passare inosservato. Una cosa è sicura, seppur diverse, le storie, le vite dei personaggi sono tutte terribilmente interessanti. Pronti a conoscerle il 10 Novembre su Netflix?

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