One Piece, la recensione della serie tv su Netflix

One Piece, la serie Netflix

Quando Netflix, ormai quasi un anno fa, aveva annunciato l’arrivo di una serie sul manga di Eichiro Oda, abbiamo avuto tutti un colpo al cuore. Nessuno credeva che una trasposizione live action di un’opera tanto complessa ed estesa come One Piece potesse funzionare, probabilmente anche a causa della brutta esperienza che la stessa piattaforma di streaming ci aveva riservato con il film di Death Note, diventato a tutti tristemente noto per i motivi peggiori. Tuttavia, in questo caso, il detto “non bisogna fasciarsi la testa prima di essersela rotta” si è dimostrato più vero che mai. Infatti, la serie di One Piece (trailer), realizzata da Matt Owens e Steven Maeda, si è rivelata un successo sotto (quasi) tutti i punti di vista.

Gli otto episodi ricoprono i primi 11 volumi del manga, arrivando fino all’arco narrativo di Arlong Park. Una scelta quasi obbligata dopotutto che comunque presentava diverse sfide, tra cui la difficoltà di rendere credibile un mondo eccentrico – a tratti persino grottesco – come quello di One Piece e la necessità di comprimere quasi 100 capitoli, estremamente densi, in poco meno di 8 ore. Ma andiamo con ordine.

Monkey D. Luffy è un giovane pirata che ha sempre sognato di solcare i mari per andare alla ricerca del One Piece, il leggendario tesoro di Gol D. Roger. Luffy però non è pirata come gli altri, non è crudele, violento o egoista. Luffy, per citare la serie, è un pirata “di un altro tipo” e l’interpretazione di Iñaki Godoy lo rispecchia perfettamente. Solare, sorridente, ingenuo e infantile, l’attore porta sullo schermo una versione fedelissima all’originale sia nei gesti che nell’aspetto. Come lo stesso Oda ha confermato, in una recente intervista rilasciata da Netflix, la ricerca del giusto attore per il ruolo di Luffy era essenziale per la riuscita della serie. E lo stesso valeva ovviamente anche per gli altri membri dei Mugiwara, i componenti della ciurma di cappello di paglia. Zoro, Nami, Usopp e Sanji sono iconici quasi quanto il loro capitano e i fan si erano dimostrati da subito entusiasti della scelta di Mackenyu, Emily Rudd, Jacob Romero Gibson e Taz Skylar nei rispettivi ruoli vista l’evidente somiglianza con la controparte originale. La loro interpretazione sembra quasi un tributo ai personaggi del manga, richiamando in più di un’occasione con parole e movenze alcune delle tavole più iconiche e memorabili. Per un fan affezionato diventa così impossibile non emozionarsi nel trovarsi di fronte a una versione in carne ed ossa dei propri personaggi preferiti.

Anche le scenografie, i costumi e il trucco curati nei minimi dettagli contribuiscono a creare una riproduzione quasi 1:1. Ma se questo si rivela vincente per i set, come nel caso del Baratie o di Arlong Park, in grado di rievocare alcune delle ambientazioni più suggestive di One Piece, lo stesso non si può dire del reparto costumi, a volte troppo poco “sporchi” perché risultino davvero gli abiti di un sudicio pirata, rischiando in alcuni casi un effetto cosplay. La scelta di rimanere fedeli al manga, ancora prima che all’anime, però, si è dimostrata comunque vincente e anche le rappresentazioni più grottesche e ridicole (come quelle degli iconici Den Den Mushi, i telefoni a forma di lumaca) alla fine riescono a strappare un sorriso affettuoso e divertito.

Allo stesso modo la narrazione segue pedissequamente i capitoli del manga apportando sì delle modifiche ma sempre ben studiate, spesso dettate dalla necessità di adattare dei passaggi o delle situazioni che poco avrebbero funzionato in una trasposizione live action. È tuttavia sotto questo aspetto che, volendo, si potrebbe individuare il difetto peggiore della serie, ovvero nella scelta di far procedere in parallelo la narrazione delle avventure di Luffy e della sua ciurma con quelle del viceammiraglio della marina Garp, impegnato ad inseguirli per tutto l’East Blue. Quest’ultima linea narrativa nel manga è totalmente assente e, spalmata lungo tutti gli otto episodi, tende a diventare quasi di troppo in più occasioni. Tuttavia, il motivo della sua presenza è chiaro: per uno spettatore ancora estraneo al mondo di One Piece mettere da subito ben a fuoco le ragioni alla base dell’eterno conflitto tra pirati e marines è essenziale. Ma ancora di più lo è riuscire a comprendere quanto per ogni personaggio di One Piece sia importante rimanere fedele a sé stesso e alle scelte che compie e in base a questo schierarsi da una parte o dall’altra. Così come esistono pirati buoni e giusti esistono anche marines codardi e crudeli.

La serie riesce quindi nella non facile impresa di mantenere perfettamente lo spirito originale dell’opera di Eichiro Oda, accontentando i fan più affezionati e allo stesso tempo stimolando quanto basta la curiosità di un normale spettatore. E così come la ciurma di Luffy si appresta ad entrare nella rotta maggiore, il log pose di Netflix sembra puntare dritto in direzione di una seconda stagione.  

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