L’amica geniale 4 – Storia della bambina perduta, la recensione della serie

L'amica geniale 4 recensione DassCinemag

“Solo nei romanzi brutti la gente fa e dice sempre le cose giuste”, scrive ad un certo punto Elena Ferrante in Storia della bambina perduta. La capacità di raccontare donne e uomini imperfetti, che non hanno paura di scavare tra le pieghe buie del loro animo è probabilmente la forza de L’amica geniale, giunta al quarto e ultimo capitolo (trailer).

Come già detto in occasione della proiezione dei primi due episodi alla Festa del Cinema di Roma, questa quarta stagione tocca tutti i temi della produzione ferrantiana, declinati nella loro versione più dolorosa e dirompente. Il rapporto tra madri e figlie che viaggia tra le generazioni, lo scontro tra uomo e donna, il tentativo costante del maschile di plasmare il femminile e la lotta per sovvertire le tradizionali aspettative.  Sembra, però, che la realtà raccontata nelle stagioni precedenti venga travolta da un terremoto, esca dai margini e si ponga davanti agli occhi degli spettatori svelando la vera natura dei personaggi. Fragili e sfaccettati come cristalli, in bilico tra una crisi e un errore. Caos e ordine si fondono in un viaggio che vede finalmente le due amiche protagoniste in egual misura, un racconto polifonico e armonico.

Da una parte, infatti, si ritrova Elena Greco (Alba Rohrwacher), divenuta madre e scrittrice affermata, divisa tra l’amore totalizzante per Nino Sarratore (Fabrizio Gifuni) e la decisione di riportare la sua vita e le sue figlie a Napoli, in un confronto quasi necessario con il proprio passato, da cui aveva sempre cercato di scappare, con una nuova voce, resa autorevole dall’esperienza. Dall’altra, il personaggio di Lila (Irene Maiorino) perde quell’aura di mistero e di incomunicabilità che l’aveva sempre caratterizzata, per lasciare spazio ad una donna che, nonostante nel quotidiano lotti per affermarsi, è in realtà piena di crepe. Tagli più o meno sottili, collezionati nel tempo, in cui si insinua la paura di sprofondare nell’abisso e di perdersi, cancellarsi, sparire. Le due amiche, riunite dalla vicinanza e dalla contemporanea gravidanza, affrontano quest’ultima parte del proprio percorso di vita in maniera opposta e complementare, due facce della stessa medaglia. Diventano madri, figlie, donne, scavano tramite il dolore nell’essenza di questi ruoli e li scardinano, in un movimento ciclico che le riporta alle origini.

Il rinnovamento del cast, forse da anticipare a qualche puntata della terza stagione, ha arricchito ulteriormente i già complessi personaggi dell’universo di Elena Ferrante. Alba Rohrwacher dipinge una Lenù pacata, lenta nei movimenti, in balia del proprio cervello mai a riposo, perfettamente disciplinata rispetto al caos che regna nel rione, ma in cui ogni tanto la violenza riemerge, come un magma inevitabile. Irene Maiorino restituisce Lila con cura viscerale: è la minima espressione del viso a raccontare il grido interiore che la lacera, è il sorriso a svelare la tenerezza che prova nei confronti dell’amica, sono gli occhi vispi a ritrovare la forza creativa che la contraddistingue fin da bambina. Il Nino di Fabrizio Gifuni è come una piovra che riesce ad avvinghiarsi ad Elena e alla sua vita in una morsa subdola e stringente, un illusionista che ammalia con le parole, plasmando lo sguardo della protagonista e convincendola di una realtà che non esiste. E, all’improvviso, come d’incanto, Elena si sveglia e lui si sforma, si sgonfia dell’aura che lei gli aveva cucito addosso come un vestito su misura e si mostra nudo, vittima delle sue trappole mentali travestite da superiorità e il destino da cui non può scappare.

L'amica geniale 4 recensione DassCinemag

Un punto di forza fondamentale per questa stagione è sicuramente la regia, affidata interamente a Laura Bispuri. Il cambio non si percepisce come problematico, in quanto la resa dell’intera vicenda appare fluida rispetto ai precedenti Saverio Costanzo, Alice Rohrwacher e Daniele Luchetti. Il punto di vista di una donna, però, condensa una visione del femminile che solo l’esperienza diretta può restituire allo spettatore con verità. Solo così, quindi, si comprendono le motivazioni che l’hanno portata a rielaborare il testo della Ferrante focalizzandosi, con qualche polemica da parte dei lettori della tetralogia, sulle scene più significative per l’evoluzione emotiva delle due protagoniste. Per esempio, è spiazzante la sequenza che vede Nino e Lila in ospedale con la madre di Elena, Immacolata (una commovente Anna Rita Vitolo), e l’angoscia della protagonista a casa: il ritmo asfissiante delle inquadrature è scandito dalle paranoie di Elena rispetto ad una probabile relazione tra Nino e l’amica invece della malattia della madre. Il mondo filtrato dalle lenti di una narratrice inaffidabile perché guidata dalla propria soggettività, ma non per questo meno reale.

Attraverso questo coming-of-age apparentemente da manuale, Elena Ferrante racconta la storia del nostro paese, in tutta la sua drammaticità. Affronta, infatti, temi come la mafia, la rappresentazione dell’omosessualità, la situazione politica, ma anche eventi cardine, come il terremoto in Irpinia del 1980 o il rapimento di Aldo Moro. Ne tira fuori la bruttura, senza usare le frasi fatte, vuote, di chi vuole appropriarsi della denuncia sociale, ma lo fa in maniera sottile, con lo sguardo di chi conosce quelle realtà e agisce sotto traccia pur di cambiare qualcosa. E sicuramente il successo di questa co-produzione Rai-HBO, già inserita dal New York Times nella lista delle migliori dieci serie tv del 2024, ha contribuito ad attirare l’attenzione su Napoli e sulla sua essenza in un modo mai visto prima.

Cosa rimane, a conti fatti, di questa storia lunga sessant’anni? Il racconto di un’amicizia al femminile, lontana dai soliti cliché di fratellanza maschile, dove l’una è necessaria all’altra per completare la propria crescita umana e sociale, tra le reali fasi che possono caratterizzare un rapporto. Elena dipinge con le parole il mondo che scopre attraverso gli occhi di Lila: un’immagine chiara della forza creativa delle donne, che solo insieme riescono a svelare gli schemi imposti da una cultura passata ormai insostenibile. E agli spettatori adesso tocca riporre la loro storia come due bambole su una mensola, da guardare ogni tanto per non dimenticarne l’importanza.

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