Il colore viola, la recensione: il musical di Broadway a Hollywood

Il colore viola recensione musical di Blitz Bazawule DassCinemag

«Hell, no!» suona l’imperativo cantato dalle donne nere nella Georgia statunitense del primo Novecento. Le loro voci arrivano fino a Dio che punisce i cattivi costringendoli ad indossare i pantaloni in sconto di Miss Celie. Il nuovo adattamento cinematografico de Il colore viola (trailer) è diretto da Blitz Bazawule, musicista prima che regista, originario del Ghana.

Musical come lo era l’omonimo di Broadway del 2005 (libretto di Marsha Norman e colonna sonora di Brenda Russell, Allee Willis e Stephen Bray), già ispirato al film cult di Steven Spielberg di venti anni prima. Tutti hanno radice nel romanzo epistolare The Color Purple di Alice Walker pubblicato nel 1982. Cosa resta dell’infanzia di Celie (da giovane Phylicia Mpasi, da adulta Fantasia Barrino) sconvolta dagli abusi sessuali da parte del padre? Delle botte e l’allontanamento dell’amata sorella Nettie (da giovane Halle Bailey, da adulta Ciara) da parte del marito Mister (Colman Domingo)? Del razzismo che chiude in carcere se rispondi no ad un bianco? Di un tipo di amore che va taciuto? Tutti i traumi sono dentro una cornice gioiosa, colorata e pop che ti ricorda sempre: «The show must go on».

Non te ne accorgerai, ma con i piedi terrai il ritmo nel buio della sala durante le performance. La cantante jazz Shug Avery (Taraji P. Henson) approderà nel locale di Harpo (Corey Hawkins) con un vestito rosso piumato che brillerà sullo sfondo bluastro grazie al lavoro di Dan Laustsen, la guarderai in estasi come Celie e desidererai così tanto ballare con lei. In questi numeri musicali la camera è uno strumento a corde ben tenute da Bazawule, impegnato a contribuire al ritmo come aveva già fatto per il visual album di Beyoncé Black is King (2020).

il colore viola, la recensione del film

Se lo show è travolgente, il dramma risulta anestetizzato. In un contesto così allegro, come è possibile credere che Celie tagli la gola a Mister mentre gli rade la barba? È possibile che il mutismo causato dalla prigionia di Sofia, interpretata da Danielle Brooks che riceve così la candidatura Oscar come miglior attrice non protagonista, venga interrotto con una risata a crepapelle? È riduttivo, nessun dubbio. Ma in fondo preferiamo vederla così, nelle vesti della moglie che sgrida il marito perché le porta un tè non abbastanza caldo. E poi, che soddisfazione deve aver provato nel vedere Celie puntare un coltello al marito dopo gli anni passati a spronarla a ribellarsi.

La solidarietà femminile manifesta un senso di condivisione che lega tutti e tutto a Dio. Egli è nella protagonista, negli alberi, nel «colore viola in un campo qualunque». Con Sofia e con Shug, che le mette il rossetto e le fa indossare un abito da sera, Celie potrà liberarsi, amare sé stessa, godersi gli affetti. Da spettatrice davanti la vetrina del locale del padre diventa attrice pronta a cantare al mondo «I’m here». Nessuno le ha mai potuto togliere la capacità di immaginare. Lo sceneggiatore Marcus Gardley pensa bene di trasporre le confessioni presenti nelle lettere del romanzo di Walker in momenti onirici che rivelano tutto il potere immaginifico della protagonista. Qui può rivivere il passato accanto alla madre che le insegna a cucire. Oppure, ed è qui che il riferimento al musical classico hollywoodiano si fa più vivo, sognare il romantico incontro con Shug su un grammofono gigante.

«Dio opera in modi misteriosi» viene cantato nel film. In modi altrettanto misteriosi Il colore viola sembra esistere oggi solo come musical. E in quanto tale questo nuovo adattamento va visto!

Dall’8 febbraio al cinema.

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