I primi anni ’70 furono un periodo selvaggio per la cultura americana. Il crescente movimento New Age portò con sé un’esplosione di un interesse secolare per tutto ciò che è ultraterreno e misterioso. All’improvviso il mainstream fu inondato di libri, riviste, film e programmi TV sulla reincarnazione, esperienze di vita dopo la morte, dischi volanti, bigfoot, il mostro di Loch Ness, i fantasmi, il Triangolo delle Bermuda, gli antichi astronauti, le profezie apocalittiche e ogni sorta di altra stranezza. In aggiunta a tutto ciò, l’estremo successo de L’esorcista (sia libro che film) ha portato a una diffusa fascinazione del pubblico per il Diavolo. Presto seguì l’eccesso standard di film imitatori. Perfino la Disney ha cercato di trarre profitto con un paio di commedie diaboliche per famiglie. Insieme a una rinascita della fede in Satana come essere tangibile e sboccato che potrebbe farti girare la testa ogni volta che lo ritiene opportuno, L’esorcista ha anche riportato le masse nelle chiese (cattoliche e non), sperando di evitare qualsiasi spiacevolezza del genere. Quindi, forse non è stato davvero scioccante che nel 1975 un dirigente di uno studio cristiano abbia suggerito un film sulla nascita e l’ascesa dell’Anticristo basato sul Libro dell’Apocalisse. Insieme alla storia dell’Antico Testamento di Abramo e Isacco, la sceneggiatura di Omen – Il presagio (1976) ha anche saccheggiato l’enorme bestseller del 1970 del folle studioso biblico Hal Lindsey, The Late Great Planet Earth, in cui predisse che la battaglia di Armageddon sarebbe iniziata entro la metà degli anni ’80. L’interpretazione di Lindsey del Libro dell’Apocalisse e la sua descrizione dell’ascesa dell’Anticristo sono state fondamentali per l’evoluzione della trama del franchise di Omen.
Il primo film racconta la storia di un diplomatico americano di nome Robert Thorn (Gregory Peck) che gradualmente arriva a credere che suo figlio sia l’Anticristo. Mentre gli eventi inquietanti che circondano il bambino aumentano – con lo campino della misteriosa governante, la signora Baylock (Billie Whitelaw) – Thorn alla fine si convince di dover prendere misure drastiche per salvare il mondo dall’annientamento satanico. Omen – L’origine del presagio (trailer) di Arkasha Stevenson (qui al suo esordio alla regia), prequel del classico horror di Richard Donner, si mette in stretto contatto con il primo film: finisce dove questo inizia. Si approfondiscono le origini contorte della progenie del Diavolo e intreccia una storia di fede, possessione e cospirazione che minaccia l’intera struttura della Chiesa, che negli anni ’70 perde sempre più adepti/e. L’attrice inglese Nell Tiger Free, nota anche per i ruoli memorabili ne Il Trono di Spade e in Too Old to Die Young di Nicolas Winding Refn, interpreta la novizia americana Margaret. La storia è incentrata sull’arrivo di Margaret in un orfanotrofio di Roma e sulla sua scoperta di un malvagio complotto per generare l’Anticristo. Una volta lì, stringe amicizia con Carlita, una ragazza che sembra essere costantemente punita e messa ingiustamente in isolamento dalle suore più anziane. Mentre Margaret si immerge sempre più a fondo nell’inquietante cospirazione, i suoi demoni personali iniziano a riaffiorare, portando dritti dritti alla scena più bella del film – chiarissimo omaggio alla famosa sequenza della metropolitana di Isabelle Adjani in Possession (1981) di Andrzej Żuławski.
Nell Tiger Free offre una performance molto solida e potente. Il viaggio del suo personaggio, dalla fede incrollabile al dubbio straziante, è messo in scena con vulnerabilità e risolutezza fermissime. L’opulenta abbazia si trasforma in una rappresentazione visiva della fede in disfacimento di Abigail. L’illuminazione ad alto contrasto e il lavoro di costante disorientamento della macchina da presa creano un senso di disagio profondo e strisciante. La sceneggiatura cammina sul filo del rasoio tra il rispetto del film originale e una narrazione fresca: vengono introdotti nuovi livelli tematici, in particolare riguardo allo sfruttamento della fede e alla vulnerabilità all’interno delle istituzioni religiose. Omen – L’origine del presagio non è quindi solo un prequel, ma una rivisitazione che approfondisce il costo umano di una nascita così empia. La forza del film sta nella sua capacità di intrecciare commenti sociali sul potere e degli abusi all’interno della Chiesa con una più familiare storia di possessione demoniaca.
Questo film è una risorsa per l’eredità della saga: ci sono accenni visivi al primo film così come introduzioni a personaggi che appaiono in modo più approfondito nell’originale di Richard Donner. È il paradiso di chi ama gli Easter eggs; ma il nuovo capitolo di Omen è anche un film a sé stante che si regge sulle sue gambe, ed è deliberatamente femminile – continuando sulla scia di film, ancora più riusciti, basati sulle gesta di suore non proprio canoniche (da The Nun 2 a Immaculate, passando per Sorella Morte). Margaret si reca a Roma per prendere il velo ed essere iniziata alla chiesa, e quando arriva nell’orfanotrofio vediamo che il luogo è popolato prevalentemente da donne, dalle badesse e sorelle alle ragazze orfane di cui si prendono cura le suore. Questo era un elemento incredibilmente importante per la regista: «Quando ho ereditato la sceneggiatura, era già un prequel di Omen », spiega Stevenson; «La struttura narrativa era già a posto. Lavoro con un partner di scrittura e un partner creativo, Tim Smith, e ciò che siamo riusciti a fare davvero è personalizzarlo, il che per me è significato portarlo nel regno del body horror in particolare, poiché il focus di questo film è il corpo di una donna».
Lo studioso Xavier Aldana Reyes definisce il body horror come un sottogenere che comporta l’iscrizione dell’orrore sul corpo umano in virtù di un cambiamento. Queste trasformazioni implicano spesso modifiche estreme o danni fisici ai personaggi. La mutilazione, l’ibridazione e la metamorfosi sono temi ricorrenti per i registi e le registe di body horror. A prima vista, questi film sembrano inutilmente ripugnanti: sangue a fiumi per motivi di intrattenimento e fattori di shock. Tuttavia, se diamo uno sguardo più attento, potremmo vedere come questo aspetto estremo rifletta complesse questioni sociali e ideologiche. Al di là degli arti, della carne e delle distorsioni, il body horror può essere elegante, incoraggiante e persino una metafora complessa per argomenti considerati tabù, proprio come nel caso di questo capitolo di Omen, in cui il senso di colpa della protagonista nel primo atto del film inibisce praticamente il normale funzionamento del corpo. E questo succede spesso nel body horror: quando il senso di colpa divora dall’interno, l’orrore corporeo trova il terreno perfetto per riflettere la paura o la vergogna delle proprie azioni.
Stevenson ha più volte ribadito quanto la centralità del film fosse nelle esperienze umane dei suoi personaggi femminili, anche realizzate attraverso scene molto forti, ma che mai avrebbero dovuto sfruttare o oggettificare un corpo di donna, traguardo perfettamente raggiunto. La regista è inoltre profondamente cinefila, cresciuta con L’esorcista, Rosemary’s Baby e, naturalmente, Omen. Ne risulta un film che si integra perfettamente con quello del 1976, ma che allo stesso tempo mantiene orgogliosamente una propria identità, con un body horror femminista in cui non sono le viscere ad essere protagoniste, ma suore che partoriscono, fumano sigarette, parlano di sesso e stringono rapporti profondi con altre donne.
Dal 4 aprile al cinema.
Di Ilaria Franciotti.