6. MULTISALA GREENWICH, ROMA

LUOGO: L’atmosfera del Greenwich non è proprio quella di un multisala. È uno storico cinema di quartiere, non di un quartiere qualsiasi, siamo a Testaccio. Qui si arriva trenta minuti prima per chiacchierare con l’amica e soprattutto scegliere con attenzione il posto in sala (i biglietti non sono numerati!). Qualche cosa mi evoca l’atmosfera da autobus. Uno di quegli autobus per le gite in giornata, su cui sali consapevole che buona parte della gita la passerai seduta al posto che ti sei scelta. Quindi, scegli bene!

SALE: Fondamentale è arrivare prima, sedersi nel posto giusto e avere un’amica vicino – non sia mai che qualche sconosciuto logorroico si sieda sul posto a fianco. Se poi preferisci corridoio o finestrino poco cambia, tanto inevitabilmente passerai tutto il viaggio distratto da ciò che ti succede intorno. Siamo al cinema, ma non può mancare il vicinoche estrae il panino portato da casa (#nonhannoipopcorn), chiacchiere da mercato e volendo anche un film da guardare. “Siamo pronti?” – domanda un passeggero allo spegnersi della luce in sala – “Via”.

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SPETTATORI TIPO: Per fortuna che era il secondo mercoledì del mese! Impreparata alla gita, sono arrivata tardi. Facendomi largo tra la fila, sono riuscita a entrare in sala in tempo (ma erano già tutti arrivati e dalle facce era chiaro che aspettavano solo me per partire). Mi sono seduta in prima fila, gli ultimi posti rimasti naturalmente. In fondo troneggiavano le abitué, con la tipica aria di chi è seduto in ultima fila e non intende cederti il posto – Va beh dai, alla fine è solo per il viaggio. Che ingenua. Ecco che la mia vicina sfodera il trapizzino alla parmigiana. Neanche il tempo di rendermi conto che non avevo cenato e il film inizia.

CHE FILM HO VISTO? Dopo l’amore di Joachim Lafosse. Faceva ben sperare dal trailer, ma dopo dieci minuti era già chiaro come sarebbe finita la gita. Certo, il mal di collo e i puntini blu che hai la fortuna di vedere solo se sei in prima fila, non mi hanno permesso di apprezzarlo fino in fondo – ma c’è sempre il viaggio di ritorno, no?
 

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