Ralph Fiennes, giunto al suo terzo film da regista, stavolta decide di portare sul grande schermo l’importante danzatore Rudolph Nureyev, intepretato da un giovane Oleg Ivenko. Siamo nella grigia Russia, precisamente nella città di Ufa. La storia del film Nureyev – The White Crow (qui il trailer), parte mostrandoci il percorso del giovane dagli studi a Leningrado fino al successo come membro del balletto di Kirov. Incontenibile e ribelle, in tournée a Parigi nel 1961 viene messo sotto pressione dal KGB, mentre in lui cresce giorno dopo giorno l’amore per la libertà e per la Francia.
Partiamo dal presupposto che questo biopic è un esercizio d’estetica. Ogni inquadratura e ogni dettaglio sembrano far parte di una pittura espressionista. Emerge nella forma una pulizia e un ordine rigoroso di idee e simbologie, ausiliati da una fotografia cupa e grigia nel suo insieme. Da un lato, l’uso della macchina da presa è sicuro da parte del regista, dall’altro sembra quasi non esser pronto a lanciarsi definitivamente verso un lavoro originale ed unico. Nureyev – The White Crow è lento. Ispirato all’opera biografica di Julie Kavanagh, Fiennes si sofferma troppo sulla preparazione a Leningrado negli anni ’40. Troviamo una commistione di informazioni che ci vengono mostrate in pochissimo tempo a discapito dello spettatore che ne esce disorientato.
Nella pellicola Alexander Pushkin – lo sguardo di The White Crow – interpretato dallo stesso Fiennes gioca un ruolo fondamentale. La sua figura fa da contrasto tra vecchio e nuovo, dall’apertura mentale alla chiusura, dalla staticità alla ribellione.
Il finale è un altro film. Improvvisamente la staticità e la lentezza di ritmo che aveva incontrato per tre quarti di pellicola si scioglie, diventando un thriller politico alla Argo. Anche se il finale è prevedibile, l’ultima mezz’ora è ricca di suspense e tiene lo spettatore inchiodato alla poltrona pur di sapere come andrà a finire.
Tutto sommato, Nureyev – The White Crow è una pellicola interessante anche se oltre allo stile estetico non ha nulla di originale. Per concludere, da non sottovalutare è il grande rispetto e l’umiltà dei temi che racconta Fiennes.