È sempre una questione di premesse, qui alla 81esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Ormai diversi film stanno andando in controtendenza rispetto alle strategie di marketing che li hanno preparati, e questo, nel bene o nel male, ne sta spesso condizionando la ricezione. Vedi Babygirl e ti aspetti un thriller erotico, esci tra le risate del pubblico; vedi Joker: Folie à Deux e ti aspetti un film sulla scia del precedente, quando poi è tutt’altra cosa. Vedi questo Stranger Eyes (in originale Mò shì lù, trailer), terzo lungometraggio scritto e diretto dal singaporiano Yeo Siew Hua – anch’esso in Concorso – e per come è stato annunciato ti aspetti un intrigante neo-noir del Sud-Est asiatico. E poi è altro, ma è un altro veramente interessante e diverso rispetto al cinema che localmente siamo abituati a consumare.
Il film inizia significativamente con la riproduzione di un video: due genitori, Junyang (Wu Chien-ho) e Peiying (Anicca Panna), scandagliano i pixel delle immagini in movimento per cercare una spiegazione alla scomparsa della loro figlia, che appare negli ultimi momenti prima di (probabilmente) essere rapita. Una cosa inspiegabile, se non fosse stata catturata da una camera: la registrazione, che all’inizio sembra il film stesso, viene poi manipolata, mandata avanti e indietro, velocizzata, scrutata da cima a fondo, di fronte agli occhi increduli dei personaggi. Il mistero si infittisce ulteriormente, poi, quando la coppia inizia a ricevere dei dvd da un mittente ignoto, in cui vengono ripresi di nascosto durante la loro quotidianità ed emergono segreti inconfessabili.
Si può sparire improvvisamente in un orizzonte mediatico iper-invasivo come quello contemporaneo? È davvero possibile nascondersi e restare anonimamente invisibili, oggi? Sono domande che calzano particolarmente bene, a detta del regista, in un’isola piccola, molto popolata e moderna come Singapore, dove il freddo occhio cibernetico delle telecamere e gli schermi dei dispositivi elettronici compongono la geografia del territorio e mappano qualsiasi individuo e movimento. Chiunque è costantemente soggetto all’imposizione dello sguardo altrui, e gli “occhi estranei” del titolo, la percezione di essere percepiti, condizionano inevitabilmente il comportamento individuale.
Stranger Eyes è uno straordinario saggio sullo sguardo nell’epoca dell’onniveggenza della macchina, in cui il campo del voyeurismo non è più (solo) quello torbido e intimo degli spazi domestici, ma si estende in tutta l’architettura metropolitana della città contemporanea. La figura del voyeur, inoltre, è aggiornata senza anacronismi inutili ai nostri usi e costumi, e quindi – in un’insolita e francamente inattesa convergenza che lega questo e Baby Invasion qui a Venezia – fa capolino il mondo interattivo e live della piattaforma streaming di Twitch, come a dire: il nuovo guardone, oggi, ha “cibo” per i suoi occhi nelle frontiere virtuali del web.
Per questo, pur ripescando chiaramente a piene mani da un immaginario che spazia da La finestra sul cortile, a Strade perdute fino a Niente da nascondere, il film di Yeo Siew Hua costruisce una propria identità forte, e lo fa nei suoi silenzi e nelle sue attese. Tutto vaga molto lento, troppo lento, intrappolato nell’attenzione vigile e gelida delle CCTV, che registrano acriticamente qualsiasi cosa, pure impercettibile.
«Avere una fotocamera rende qualcuno un sospetto? » si chiede ad un certo punto un personaggio. E la domanda, oltre che legittima, è di difficile risposta: dovremmo capire se – e quanto – l’ubiquità contemporanea dello sguardo ci renda testimoni consapevoli di quello che vediamo avvenire intorno a noi (anche le peggiori nefandezze), o esuli dalla nostra responsabilità. Quindi, non sarà come ce lo aspettavamo, ma, sinceramente, a questo punto ci piace pure di più.