#Venezia79: No Bears, la recensione del film di Jafar Panahi

No Bears

Jafar Panahi arriva alla 79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con il suo ultimo film No Bears. Ma il suo arrivo è solo metaforico, poiché il regista iraniano vive attualmente in un regime di detenzione nel suo paese. Panahi è l’esponente più scomodo del movimento cinematografico iraniano New Wave che ispirandosi alla Nouvelle Vague ed al Neorealismo sviluppa racconti cinematografici molto trasgressivi e sempre al limite della legalità in Iran, opere quasi del tutto sconosciute nella loro nazione d’origine ma molto amate all’estero e molto premiate nei festival europei. Il giorno 11 luglio di quest’anno il regista Panahi è stato nuovamente arrestato dal regime teocratico: l’artista aveva già subito in precedenza un interdizione alla regia che è riuscito a superare grazie a diverse soluzioni creative e cavilli legali ma è stato spesso arrestato e rinchiuso per le sue idee progressiste e femministe.

Se il suo esordio presentato a Venezia Il cerchio gli ha fruttato il Leone d’Oro e la notorietà nel mondo, in Iran gli è costato l’isolamento dall’ambiente e la diffusione del film è stata molto osteggiata e limitata. I guai veri sono arrivati con il film commedia Offside un film coraggioso sulla storia di alcune ragazze tifose di calcio che travestendosi da maschi cercano di violare le leggi religiose per poter assistere ad una partita, identificate ed arrestate cominciano una vera odissea fra polizia militare e cecità maschile verso i loro diritti. Sebbene il film sia estremamente ironico la sua diffusione è stata proibita in Iran ed al regista è stato impedito di lasciare il paese per ritirare il suo premio a Berlino. Dal momento in cui Panahi si è visto costretto a non dirigere più film per il regista è cominciata una battaglia creativa leggendaria. Ha realizzato poi un film intitolato This is not a film, contenuto in una chiavetta USB caduta “per sbaglio” dentro ad una torta che il regista iraniano fece pervenire al direttore del Festival di Cannes. Molti altri non-film sono arrivati a festival internazionali con estremo successo La battaglia del regista per il diritto di uscire dal suo Paese, per poter lavorare come artista o per mostrare le sue opere è già da qualche anno una battaglia creativa e legale che richiama l’attenzione del settore cinematografico ma che non manca di infastidire il regime religioso iraniano, che di conseguenza obbliga il regista ad entrare ed uscire dalle prigioni colpevole solo di creazioni intellettuali.

No Bears arriva in Concorso a Venezia sempre nella solita condizione di clandestinità e racconta di un regista che realizza a distanza il suo film, isolandosi in un piccolo paesino dell’Iran con difficoltà di connessioni mentre il cast opera nella capitale. Mentre vive questa curiosa condizione di regia assente prova a fare foto degli abitanti con cui convive, dei loro riti e delle loro usanze generando però disagi e sospetto. Il regista così scoprirà di vivere ad un filo dalla tensione in un luogo di calma apparente, dove i confini della nazione sono controllati non tanto dai militari quanto dai trafficanti di organi. Il film di Jafar Panahi è un inno alla libertà, un grido di dolore ed una testimonianza di una nazione in pericolo la cui richiesta di aiuto è muta alle orecchie delle istituzioni locali così come di quelle internazionali che non operano con il dovuto vigore per avere garanzie sull’incolumità dei cittadini, un film intenso e dolorso che lascia il segno nello spettatore occidentale.

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