#Venezia77: Om Devi: Sheroes Revolution, la recensione

Nel panorama italiano attuale i nomi che firmano opere immersive a 360° fruibili da visori VR è ancora molto basso, quindi fa sempre piacere poter segnalare l’affermarsi di un nuovo autore. Claudio Casale ha ottenuto il premio Migrarti alla Mostra del Cinema di Venezia del 2018 per il documentario My Tyson. Nel 2020 il regista torna alla Mostra del Cinema ma con Om Devi: Sheroes Revolution, un documentario in realtà virtuale che pur essendo frutto della creatività italiana si svolge in India esplorando il mondo delle donne e delle loro battaglie quotidiane.

Nell’opera di Claudio Casale entriamo in contatto con un paese di profonde radici culturali, di suggestioni e tradizioni, dove però il femminile cerca ancora di affermarsi e di definirsi difendendo la propria identità e stabilendo una posizione di equità e determinazione nel tessuto politico e sociale. Le protagoniste del viaggio immersivo sono Anjali, Shabnam e Devya Arya. Lo spirito della Devi (dea), fortemente radicata nella tradizione e cultura religiosa indiana, permea le loro esperienze aiutandole nella scoperta della loro identità e nella loro lotta per l’emancipazione.
 

Anjali è una ginecologa che non può limitare il suo lavoro ad assistere le partorienti, ma deve rafforzare il suo impegno per aiutare donne che non hanno mai visto degli ospedali a definire la loro emancipazione identitaria ed economica. Shabnam è stata sfigurata dall’acido a sedici anni e dopo sette anni di solitudine ed isolamento ha trovato la forza di costruirsi una vita e crescere una figlia. Infine la ventenne Devya Arya studia nell’antico monastero della città sacra di Varanasi scandendo le sue giornate fra studio, insegnamento, yoga, canti sacri e arti marziali.

Il viaggio alla scoperta del divino nella tre protagoniste è coinvolgente e fluido, si resta fin dall’inizio rapiti dai loro racconti e l’immersività contribuisce a creare un legame intimo e ancestrale con le tre donne.
 

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