
L’amore di un genitore è tra le forze più grandi che si possano immaginare, nel suo essere immensamente incondizionato. Ma sarà esso sufficiente nel momento in cui proprio tua figlia ti porta via la vita che hai faticato per costruire?
Pietro (Stefano Accorsi) è un agente immobiliare che ha perso sua moglie per malattia. Quattro anni dopo ritrova l’amore in Chiara (Thony), l’infermiera che aveva assistito sua moglie durante l’infermità, e che proprio non riesce ad instaurare un rapporto amorevole con Sofia (Ginevra Francesconi), la figlia diciassettenne di lui, che le è apertamente ostile. Una sera, durante l’ennesimo litigio tra le due, l’adolescente compie un gesto estremo e imperdonabile, che sconvolge irrimediabilmente la sua vita e quella del padre.
Ivano De Matteo non è nuovo a misurarsi con temi quali la famiglia, in particolare indagando il rapporto padre-figlia, come già aveva fatto nel suo precedente film, Mia (2023). Una figlia (trailer), come dichiarato dallo stesso regista durante la conferenza stampa che ha seguito la proiezione del film in anteprima al Cinema Adriano di Roma, nasce proprio da una riflessione scaturita dalla ricezione di Mia, che vede Edoardo Leo nei panni di un padre alle prese con una figlia adolescente intrappolata in una relazione particolarmente tossica, che, anche in questo caso, porta la ragazza ad un gesto estremo. Avviene però un capovolgimento: i due film esplorano le due facce di una medaglia. In Mia vediamo una famiglia in preda ad un dolore che subisce, che gli viene inflitto, la famiglia di una vittima. Ciò ha portato De Matteo a volersi mettere alla prova nel rappresentare invece una situazione inversa, in cui i carnefici sono i protagonisti, in cui il dolore scaturisce dall’interno di un nucleo familiare apparentemente normale, quotidiano.
Liberamente ispirata al romanzo Qualunque cosa accada di Ciro Noja, quella di Una Figlia è una storia che colpisce e coinvolge dolorosamente perché potrebbe accadere a chiunque. Non è la storia di un criminale spietato o di una mente perversa, ma di una adolescente arrabbiata come tante, che sopporta un dolore incompreso e trascurato, che addirittura la tormenta con incubi continui.
Da una sceneggiatura scritta dallo stesso regista insieme a Valentina Ferlan, De Matteo mette in scena un’accurata trasposizione del reale, senza giudizi di alcun tipo e senza prese di posizione, rappresentando accuratamente i passaggi dell’iter giudiziario a cui viene sottoposta Sofia. Il suo desiderio di realtà si afferma anche nelle scelte più delicate, come il decidere di mostrare le nudità della ragazza, personaggio minorenne, durante le tre perquisizioni che subisce. Una devozione che condanna il tutto a risultare forse un po’ spoglio, e non solo in riferimento alle fredde ambientazioni.

Sofia è il motore del film, che ruota intorno al suo percorso di recupero e alla sua evoluzione, mentre Pietro, privato di ogni certezza, viene di continuo trascinato dal flusso degli eventi, cercando invano di trovare un senso alla vicenda e, al contempo, rifiutandosi di reagire. Intorno a loro si stagliano le figure dure e impassibili dei poliziotti e quelle positive e rassicuranti degli assistenti sociali, insieme all’avvocata Mariella (Michela Cescon), presenza decisiva per la ragazza, ma soprattutto per Pietro. Tutti loro diventano i punti di riferimento di Sofia, che scopre inaspettati alleati che le fanno capire di non essere sola, e che soprattutto credono in lei e la incoraggiano ad uscire dalla paralisi emotiva in cui si è rifugiata, mentre suo padre, offuscato dalla rabbia, va continuamente a sbattere nella confusione totale e nel bisogno di sentirsi compreso, di trovare un modo per legittimare i sentimenti nei confronti di sua figlia, che arriva addirittura a rinnegare.
Lo sguardo così razionale e neutro della macchina da presa, per quanto efficace su un versante, ad esempio nella riflessione delle carceri come luoghi non solo di punizione, ma di sostegno e supporto, che possono rappresentare un nuovo punto di partenza, d’altra parte limita la forza narrativa, impedendole di colpire nel profondo come potrebbe. Il racconto procede dritto e lineare, senza fronzoli e accessori, ma finisce per trascurare aspetti che avrebbero forse consentito un maggiore coinvolgimento emotivo. Il rapporto con lo spettatore rimane freddo, distaccato: non gli è concesso di sapere più del necessario. L’assenza di flashback o rimandi al “prima” impedisce di entrare nel vivo delle dinamiche familiari, nel rapporto tra Sofia e il padre, o in quello con Chiara. Di quest’ultima, ad esempio, siamo lasciati a chiederci se fosse davvero l’arrivista senza scrupoli dipinta da Sofia, o la donna estremamente sensibile, dolce e comprensiva che viene presentata sullo schermo. Probabilmente De Matteo ha voluto evitare che lo spettatore formulasse un giudizio su Chiara, che avrebbe potuto influenzare la percezione del gravissimo gesto compiuto dall’adolescente, cercando di mantenere sempre lo stesso sguardo lucido e razionale sulla vicenda.
Allo stesso modo, la scelta di non approfondire i rapporti familiari e la storia dei tre, limitandosi a raccontarla a grandi linee, si può interpretare come il tentativo di creare quella sottile tensione che nasce nel momento in cui lo spettatore avverte che un simile fatto potrebbe avere come protagonista chiunque, lui compreso. La famiglia al centro di questa storia, anonima ed ordinaria, rilette la quotidianità di molte altre, suscitando un senso di inquietudine e favorendo una forte immedesimazione. Tuttavia, questa narrazione semplice ed essenziale lascia qua e là qualche zona d’ombra, portando a domandarsi, ad esempio, il motivo della sparizione del fidanzato di Sofia, che vediamo essere coinvolto nelle indagini per poi non ricomparire più.

Inoltre, nonostante la resa realistica e curata dell’iter giudiziario e l’oggettività dello sguardo registico, è inevitabile e sottile una riflessione sulla giustizia. Lo spettatore è stupito e forse stranito da quanto il percorso di Sofia possa sembrare “agevole”: dal carcere si passa alla comunità, e con la possibilità della messa in prova, la ragazza potrebbe essere libera in pochi anni. Sofia viene da subito circondata di speranze, sconta sì mesi difficili in carcere, ma contornata da persone che la aiutano a vedere le luce in fondo al tunnel. È significativo quindi l’incontro con le sue compagne di cella, due sue coetanee che più difficilmente possono concedersi uno sguardo al futuro, nonostante si siano macchiate di reati minori: la giustizia non sembra così agevole per chi non è italiano o di buona famiglia.
In conclusione, Una figlia porta sullo schermo un punto di vista inusuale e sicuramente più delicato da affrontare rispetto a quello già visto con Mia. Attraverso il suo sguardo pulito, il film è in grado di scatenare una serie di riflessioni che abbracciano temi decisamente attuali. E se «un genitore non può mai smettere di essere un genitore», Stefano Accorsi porta in vita un personaggio straziante, la sofferenza di un padre che si sente soffocare nel suo stesso ruolo, e la forza di chi, nonostante e soprattutto nel dolore, sceglie comunque di continuare ad amare.
In sala dal 24 aprile.